di Sandro Carcione

La sentenza giunge a conclusione di un processo a carico di soggetti accusati di condotte corruttive nei confronti del Presidente pro tempore di un ente di cui al d.lgs. 509/94 (nello specifico S. P. n.q. di Presidente Cassa Ragionieri), per compensarlo di atti contrari ai suoi doveri di ufficio, delitto p.p. dall’art. 319 c.p. fattispecie che rappresenta un caso tipico di corruzione propria.
Detta imputazione presuppone il riconoscimento della qualità di Pubblico Ufficiale in capo all’imputato, e tale attribuzione viene argomentata, in maniera illuminata, con riferimento al Presidente della Cassa Geometri, con la sentenza de qua. Nei motivi di ricorso, lamentavano i difensori, la mancata individuazione dello/degli atti specifici contrari ai doveri d’ufficio circostanza che, secondo la tesi difensiva, non accolta, avrebbe reso impossibile la sussunzione della condotta dei responsabili alla fattispecie prevista e punita dall’art. 319 c.p. ma sotto quella, meno grave, prevista e punita dall’art. 318 c.p. che prevede infatti una fattispecie di corruzione “impropria”. I difensori, a sostegno della tesi della natura privata dell’ente che, ipso facto, avrebbe fatto venir meno la qualifica di Pubblico Ufficiale in capo al Presidente dell’ente previdenziale, richiamavano la sentenza del C.D.S. 488/2014, che invero si innestava in un già consolidato orientamento di senso opposto, espresso nelle sentenze C.D.S. 7 e 6014 del 2012.
La Corte Territoriale, peraltro, aveva già risposto sul punto, facendo riferimento ad una sentenza delle SS.UU. del 1998 (n. 11086) ma soprattutto richiamando la recentissima ordinanza delle SS.UU.
Nello specifico la n. 7645/2020, troncante sulla natura pubblica degli enti previdenziali, ribadendo, ad abundantiam, i medesimi principi riferiti alla RAI (SS.UU. 27092/09) ed all’ANAS (SS.UU. 15594/2014). La sezione V penale della Cassazione, richiamando l’ordinanza prefata, si limita a pedissequamente spostare il focus argomentativo sugli elementi posti a fondamento della natura pubblica degli enti previdenziali ex d.lgs. 509/94, precisando che la loro trasformazione in fondazioni, non ha modificato il loro carattere pubblicistico, lo ha anzi più dettagliatamente perimetrato, in quanto è proprio quella norma dello Stato che individua i 4 capisaldi sui quali poggia, in maniera granitica, la tesi della natura pubblica delle casse di cui al d.lgs. 509/94 ossia:
1) L’obbligo di iscrizione;
2) L’obbligo di contribuzione;
3) La sottoposizione al controllo da parte dei ministeri vigilanti (lavoro e finanze), della Corte dei Conti e della Covip, posto che gli stessi enti svolgono un’attività pubblica riconosciuta a livello Costituzionale (ex art. 38 Cost.);
e infine 4) L’inserimento dei loro bilanci nel Conto economico consolidato dello Stato ex lege 196/2009, in attuazione peraltro di un regolamento comunitario (n. 2223/96 successivamente modificato dal regolamento UE 549/2013).
È proprio la coesistenza dei predetti quattro pilastri che rende ormai ardita, rebus stantibus, la tesi della natura privata delle casse dei liberi professionisti, concetto che viene elegantemente espresso nell’icastico brocardo quae singula non prosunt collecta iuvant. Altra riflessione che appare doverosa è quella seconda la quale, l’inserimento dei bilanci delle Casse nel Conto economico consolidato dello Stato, non sia un dato di fatto meramente contabile, sterile in sè, poichè proprio da questo inserimento, in maniera del tutto lineare, a parere di chi scrive, non può che derivarne che qualunque nocumento arrecato al patrimonio di quegli enti è da definirsi indubitabilmente danno erariale, e pertanto non può non derivarne, ancora una volta, un importantissimo corollario, ossia che chi determina le scelte degli investimenti immobiliari di un ente a carattere previdenziale riveste per ciò stesso la qualifica di Pubblico Ufficiale (Cass. Sez. VI 23236/2016).
Confermata e definita quindi nei predetti termini, la natura di Pubblico Ufficiale del Presidente dell’ente di Previdenza, e la sua consequenziale responsabilità per gli atti di corruzione propria contestati, nella sentenza in discussione veniva tra l’altro precisato che nel caso di condotte plurime, rientranti alcune nel perimetro definito dall’art. 319 c.p. ed altre riconducibili alle condotte di cui al 318 c.p. (meno grave) venivano tutte avvinte ed assorbite dalla fattispecie più grave della corruzione propria (art. 319 c.p.). La Corte Suprema, invero, a completamento del proprio ragionamento, non si sottraeva all’individuazione degli atti che avrebbero integrato le condotte di cui all’art. 319 c.p. i quali si sarebbero specificati, ex alteris: nella scelta degli strumenti in cui investire; nell’omesso seppur doveroso, controllo sugli investimenti effettuati a favore di alcune Società di investimento a capitale variabile, più comunemente dette Sicav; e nella mancata denuncia della espoliazione subìta in seguito, ed a causa, di quegli investimenti, in cambio di utilità, intese queste non in senso esclusivamente patrimoniale, potendo ben essere considerata utilità qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, che si sia inserito in una relazione sinallagmatica rispetto all’orientamento del compimento dei propri atti, rendendo del tutto irrefluente che questi fossero contrari o conformi ai doveri d’ufficio.
Sandro Carcione