Pubblichiamo l’omaggio all’Avv. Siniscalchi scomparso a Napoli il 12 febbraio 2024, a firma dell’Avv. Raffaele Esposito del Foro di Napoli

Con Enzo Siniscalchi si è spento il sole dell’Avvocatura.
Oratore insigne, avvocato sommo, conferenziere raffinato, intellettuale di rango, cultore di letteratura, sociologia, estetica filmica.
Con la sua scomparsa vi è l’esilio definitivo della parola.
Con mirabile maestria è stato capace di mantenere in vita, nelle sue arringhe, il rapporto letteratura ed eloquenza.

Mutuava dalla retorica classica l’inventio che, secondo Fumaroli, attiene al privato, alla mitologia interiore dell’oratore, e ne faceva di essa il terreno della sua grandezza.
L’inventio, per Siniscalchi, non poteva prescindere dal libro, dalla lettura, dalla biblioteca; ma la sua funzione era quella di trasformare la parola scritta nella parola parlata che diventava siderale, musicale, attraverso la voce, il gesto, l’ethos, il pathos.
Un altro gigante dell’eloquenza forense ha onorato l’Avvocatura: Alfonso Martucci.
Ho avuto l’onore di essere codifensore con Martucci e Siniscalchi in alcuni processi di particolare complessità probatoria, e io stesso sono stato alunno, per numerosi anni, di Renato Orefice, altro sovrano della parola.
Ebbene, vorrei fare un distinguo tra l’eloquenza di Martucci e quella di Siniscalchi.
Martucci rinveniva, nel processo, con una sorta di sondaggio geologico, monosillabi processuali che apparivano come frammenti di vetro, e, con la sua eloquenza letteraria e dimostrativa, era capace di trasformarli in gemme preziose; ma la sua analisi era immanente al processo.
Con Siniscalchi, invece, l’eloquenza rispondeva a una nuova paideia: la sua analisi era una dialettica tra il dentro e il fuori del processo, tra fonti processuali e i contesti sociali che ne facevano da fondamento.
Sicché la sua actio oratoria copriva tutti i campi dell’eloquenza: quella giudiziaria, letteraria, politica, ideologica, sociologica.
La sua parola irrompeva all’esterno perché era destinata non solo all’uditorio giudiziario ma alla collettività, fruendo di letture mirate di Adorno e della Scuola sociologica di Francoforte.
Secondo i miei indizi, spettava a Siniscalchi l’appellativo di “Christus orator” che Erasmo riservò a Gesù.
È facile dire che i nostri Maestri appartengono alla storia dell’oblio; che l’eloquenza, e cioè l’arte del parlar bene, ma anche dello scrivere bene, appartiene agli ipocondriaci.

Se così fosse, dovremmo interrogarci sulle recenti ed ultime diatribe tra Avvocati e Magistratura nelle quali l’Avvocatura soccombe per la carenza di una rigorosa formazione culturale e di un uso adeguato del linguaggio.
La perdita dei nostri Patres ci deve far riflettere sul rapporto tra pensiero e linguaggio e ci deve insegnare a rileggere il passato con gli occhi del presente.

Avv. Raffaele Esposito

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