di Gaetano Esposito
Giuseppe Bettiol, nel lontano 1979, scriveva Verso un nuovo romanticismo giuridico, articolo in cui denunciava una deriva irrazionalista nella scienza penalistica.
Possiamo oggi individuare un’analoga deriva nella legislazione. In questa deriva è senza dubbio da iscriversi il Disegno di Legge del Governo relativo all’introduzione del reato di Femminicidio.
L’errore che si commette è ormai sempre lo stesso: offrire risposte semplici, quasi sempre emotive, a problemi enormemente complessi.
Il Governo intende sanzionare con l’ergastolo chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso “come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità“.

Cominciamo dalla pena.
L’ergastolo è ormai al centro di annose controversie circa la sua efficacia nella lotta contro il crimine. Appare sempre più evidente che anche la sua forza deterrente è un mito che si protrae da tempo immemorabile e privo di alcuna evidenza nella realtà storica.
Sanzionare con l’ergastolo il reato di femminicidio non solo non risolve ma nemmeno contribuisce a risolvere l’ormai dilagante problema, tanto più che le motivazioni del ricorso a tale pena sono poco chiare giacché fondate sull’ “estrema urgenza criminologica e per la particolare struttura del reato“.
Prima di ricorrere a misure estreme, destinate a sortire soltanto un effetto spot, sarebbe invece il caso di affrontare il problema da un punto di vista multidisciplinare, per esempio compulsando psicologi, criminologici, sociologi e altri studiosi.
Bisognerebbe incominciare, ad esempio, a riflettere se l’odierno femminicidio sia ancora legato a una cultura maschilista ormai da tempo superata ovvero trovi la sua scaturigine in ben più complessi disagi psichici e sociali come la difficoltà a gestire le proprie emozioni e i propri sentimenti.
Quanto al Disegno di Legge è stata già evidenziata la sua precarietà nella formulazione del reato: generica, nebulotica e dunque in palese violazione del principio di legalità (art. 25 Cost.).
È d’uopo rilevare che ogni omicidio è motivato dall’odio e in concreto reprime l’esercizio dei diritti, delle libertà e l’espressione della personalità della persona offesa.
Quanto alla motivazione discriminatoria o di odio della donna in quanto donna è certamente di impossibile verificabilità in concreto richiedendo al giudice un accertamento psicologico del tutto impossibile nella pratica giudiziaria.
Sappiamo che ogni femminicidio, così come ogni omicidio, è solitamente motivato da una serie di fattori ed è difficile che chi uccide lo faccia solo per atto di discriminazione o di odio.
Inoltre sappiamo che la Corte costituzionale, nella celebre sentenza sul reato di plagio (Sent. 96/81) considerò momento fondamentale del principio di legalità la verificabilità della fattispecie nella sua effettuazione.
La fattispecie di femminicidio, così come concepita, risulta mal formulata e sicuramente non supererà il vaglio di costituzionalità.
Non resta pertanto che augurarsi un intervento più serio da parte del Governo orientato alla multidisciplinarietà e complessità senza delegare al diritto penale funzioni che non gli appartengono e che lo snaturano rendendo lo strumento penale anche poco credibile.
Gaetano Esposito







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