La riforma del CSM costituisce il principale aspetto della riforma Nordio. Lo hanno riconosciuto accademici come il costituzionalista Romboli dell’Università di Pisa, magistrati come Silvia Albano (segretaria di Magistratura Democratica), avvocati come Franco Coppi e politici come l’ex Ministro Dario Franceschini. L’elenco si allunga ogni giorno, ora che la cortina fumogena prodotta sia dai magistrati (soprattutto quelli impegnati in attività sindacali) che dagli avvocati, a cominciare dalle Camere Penali, tesa a mettere in primo piano la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudici, si sta diradando.
In effetti, il Prof. Avv. Franco Coppi è stato tra i primi – se non il primo – a segnalare l’irrilevanza di una questione (che ricorda le grida manzoniane o il Molto rumore per nulla di Shakespeare) che riguarda una percentuale minima dei vincitori del concorso per l’accesso in magistratura, i quali, pur avendo la facoltà di transitare dalle funzioni inquirenti a quelle giudicanti nei primi dieci anni di servizio, hanno di fatto snobbato questa facoltà, avvalendosene solo in casi sporadici. Piuttosto, vi è da segnalare che la separazione ha già prodotto e accentuerà il “modello Gratteri” e spieghiamo di cosa si tratta. Il pubblico ministero formalmente è inserito in un rapporto gerarchico: al netto delle questioni disciplinari, risponde del suo operato al Procuratore Capo. Quest’ultimo, in teoria e sempre sulla base del rapporto gerarchico, dovrebbe rispondere al Procuratore Generale della Corte d’appello, il quale, a sua volta, dovrebbe rispondere al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione e poi … stop, la scala gerarchica s’interrompe perché la Costituzione stabilisce che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 101, che si applica anche ai magistrati inquirenti) e soprattutto “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104), quindi il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione e in generale nessun magistrato inquirente può essere sottoposto al potere esecutivo, in particolare del Ministro della Giustizia. Nella prassi, nessun Procuratore Generale esercita poteri di controllo nei confronti dei sottoposti, al massimo blandi poteri di coordinamento e burocratici poteri d’indirizzo. Con questo sistema, il Procuratore Capo è diventato se non onnipotente e irresponsabile quantomeno un soggetto che si ritiene investito di un potere amplissimo, che include anche competenze sociologiche e sovraesposizione massmediatica. Come Nicola Gratteri, per l’appunto, al quale gli esiti fallimentari delle sue maxi-inchieste in Calabria non hanno evidentemente danneggiato il suo curriculum.

Ben diversa è la rivoluzione del sorteggio, peraltro auspicata e in parte già praticata da una parte dei magistrati, i quali, attraverso l’associazione “Centouno” (che è tutto fuorché una “corrente” ed anzi è nata per combattere il correntismo, vero cancro della magistratura italiana), ha già avviato questo percorso di autoriforma della magistratura.
Luca Palamara, l’ex componente del CSM espresso dalla corrente “Unità per la Costituzione”, radiato dalla magistratura per aver condotto una costante attività per fabbricare raccomandati per incarichi direttivi e semidirettivi, disse:” Il sorteggio ci ammazzerebbe”. Fateci caso: nessun avvocato che ricopra una carica (presidente o componente del CNF o di un Ordine forense territoriale, esponente di un’associazione forense, ecc.) ha mai citato questo monito di Palamara. Citarlo significherebbe distruggere la base stessa della cosiddetta “politica forense” e radere al suolo una baraccopoli cresciuta sul clientelismo elevato al rango di scienza del voto di scambio. Peraltro, mentre il CSM è almeno un organo di rilievo costituzionale, gli organi di rappresentanza dell’avvocatura non sono nemmeno organi di alta amministrazione; basterebbe introdurre con legge ordinaria un sorteggio per esercitare un mandato (non rinnovabile) di rappresentanza, di durata biennale o triennale a seconda delle dimensioni del numero degli iscritti all’organo stesso.
di Agostino La Rana
pioniere della tesi del sorteggio applicata all’avvocatura







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