a cura di Oscar
La vicenda della cosiddetta “famiglia nel bosco”, divenuta oggetto di un provvedimento del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, offre un’occasione significativa per esaminare la dialettica tra libertà educativa dei genitori (art. 30 Cost.) e il principio, di derivazione internazional-convenzionale, del superiore interesse del minore.
L’allontanamento dei tre figli dal nucleo familiare, motivato con riferimento alla compromissione del “diritto alla relazione”, evidenzia un ampliamento della nozione di pregiudizio rilevante ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c.
Libertà educativa e limiti costituzionali
L’ordinamento italiano, pur riconoscendo ai genitori la titolarità originaria della funzione educativa, subordina tale libertà ai diritti inviolabili del minore (art. 2 Cost.) e alla tutela dello sviluppo psico-fisico della persona in formazione (art. 31 Cost.).
L’istruzione parentale è istituto legittimo, purché conforme a requisiti di verificabilità e adeguatezza. Il modello “unschooling”, in quanto privo di formalizzazione, pone questioni di compatibilità con l’obbligo scolastico, ma il caso in esame non è stato deciso sulla base del deficit educativo in senso stretto.

La centralità del diritto alla relazione
La motivazione dell’ordinanza — fondata su isolamento, difficoltà di accesso ai servizi e mancanza di relazioni con pari — si colloca in una linea giurisprudenziale che riconosce la dimensione relazionale come diritto primario della personalità.
La Cassazione, con sentenze quali n. 6137/2015 e n. 7985/2020, ha qualificato la socialità come un bene giuridico tutelato, la cui compromissione può integrare pregiudizio ai sensi dell’art. 333 c.c., anche in assenza di trascuratezza materiale.
La misura dell’allontanamento: proporzionalità e necessità
Il principio di proporzionalità — di derivazione costituzionale e convenzionale — impone al giudice minorile di adottare il “minore intervento necessario” per tutelare il minore.
Nel caso di specie, l’allontanamento appare motivato quale extrema ratio, dopo valutazione del contesto ambientale complessivo e dell’impossibilità di garantire il benessere dei minori mediante interventi meno invasivi.

La decisione sollecita una riflessione più ampia sulla tensione tra modelli familiari non convenzionali e standard normativi di protezione dell’infanzia.
L’approccio adottato dal Tribunale dell’Aquila conferma l’evoluzione del concetto di pregiudizio verso una dimensione non più solo materiale, ma anche relazionale ed evolutiva.
In questa prospettiva, il caso costituisce un precedente rilevante per la definizione dei limiti dell’autonomia educativa e per l’applicazione dell’art. 333 c.c. in contesti di vita “alternativi”.

Cass. civ., sez. I, 16 marzo 2015, n. 6137
La Corte afferma che l’ambiente familiare deve garantire al minore “adeguate opportunità di relazione e confronto”, qualificando tali elementi come parte integrante del diritto all’educazione.
Cass. civ., sez. I, 21 aprile 2020, n. 7985
Il pregiudizio rilevante ex art. 333 c.c. comprende “condotte non materiali, ma idonee a compromettere l’equilibrio emotivo e la capacità del minore di sviluppare legami e competenze sociali”. L’assenza di violenze o trascuratezze materiali non esclude la configurabilità del pregiudizio: l’isolamento sociale può costituire una forma di compressione dei diritti inviolabili del minore.







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