Negli ultimi anni l’installazione di sistemi di videosorveglianza, per il dilagare di reati contro la proprietà privata (furti, danneggiamenti ed atti di vandalismo) e contro le persone (scippi, aggressioni e violenze), ha assunto una dimensione sempre più crescente nella nostra società che ha comportato non pochi riflessi nei luoghi maggiormente esposti al pubblico, anche negli edifici condominiali.
Telecamere ed apparecchiature di videosorveglianza sono sempre più diffuse, anche perché l’evoluzione tecnologica ha reso il loro costo più accessibile.
Questi strumenti tecnologici, quando vengono installati all’interno di un condominio, tuttavia, pongono rilevanti problemi in materia di privacy. Invero l’impianto di videosorveglianza nei condomini, da un lato garantisce una maggiore sicurezza ai condomini stessi, dall’altro può incidere sulla loro privacy e sulla libertà di movimento “entro le mura di casa”.
L’adozione di tali sistemi, che consentono di riprendere, trasmettere o conservare le immagini e la voce dei soggetti ripresi, quindi, informazioni riferite ad una persona identificata o identificabile e, come tali, costituiscono dei sistemi di trattamento dei dati personali in base alla direttiva 95/46/CE, ha comportato un intervento del Garante della privacy che il 29 aprile 2004 ha emesso un provvedimento generale sulla sorveglianza nel quale enuncia le tutele, le garanzie e gli adempimenti per poter utilizzare i sistemi di videosorveglianza e ciò anche per quanto riguarda gli edifici privati nelle loro parti e spazi comuni. Negli edifici in condominio l’adozione di sistemi di ripresa di spazi comuni è consentita, esclusivamente, se ci propone di preservare la sicurezza di coloro che vi abitano, quindi, stabilisce il provvedimento in questione, per motivi legittimi, espliciti e concreti e quando altre misure adottate per tale scopo si siano rivelate non sufficienti.
Su tale questione è intervenuta, recentemente, la Corte di Cassazione con la sentenza n° 44156 del 26 novembre 2008.
Questa statuizione del Supremo Collegio (Sentenza Cassazione Penale, Sezione V, 26 novembre 2008, n° 44156), ha affermato che le zone condominiali non sono tutelate dalla privacy e chiunque può installare la propria webcam per difendersi dai male intenzionati.
L’adozione di tali sistemi è pertanto da ritenersi lecita da parte di chi la pone in essere, a patto che tale soggetto non vada a sbirciare oltre gli ingressi e le finestre degli appartamenti. Smentendo così le conclusioni dei giudici del Tribunale e della Corte di Appello, la V Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza sopra citata, ha limitato l’applicazione delle norme sulla privacy, cancellando la condanna a nove mesi di reclusione ed al risarcimento dei danni che era stata inflitta ad una famiglia di Rovereto che, per difendersi dagli intrusi, aveva installato due webcam sul balcone di casa e su un albero del cortile. Le immagini potevano essere così controllate via computer wi-fi o sul televisore. L’iniziativa non era però piaciuta ai vicini, che avevano denunciato la famiglia per illecita interferenza nella vita privata.
Il Tribunale di Rovereto prima, e la Corte di Appello di Trento poi, nel maggio del 2007, aveva condannato la famiglia. Tuttavia la Cassazione, con la pronuncia di cui sopra, ha ribaltato le conclusioni dei giudici, evidenziando che le zone condominiali sono sostanzialmente aperte al pubblico e che anche le pertinenze del domicilio, ovvero il vialetto d’accesso e la porta dell’abitazione, se non sono protette dall’accesso del pubblico, non possono essere sotto la tutela del diritto alla riservatezza. Anzi, eventuali manifestazioni di vita privata in quelle aree sarebbero realizzate inopinatamente; ovvero, se si vogliono evitare sguardi, elettronici o meno, indiscreti, non ci si ferma nel cortile.
Da quanto asserito dalla Corte si può desumere il principio secondo il quale puntare una telecamera sul cortile condominiale non integra gli estremi del reato di cui all’art. 615-bis del Codice Penale (interferenze illecite nella vita privata). Quindi non compie violazione della privacy il condomino che installi, per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall’intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare gli spazi rientranti tra le parti comuni dell’edificio (come un vialetto e l’ingresso comune dell’edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini (i quali, peraltro, nella fattispecie della sentenza sopra riportata, erano a conoscenza dell’esistenza delle telecamere, motivo per cui la ripresa non era neppure idonea a cogliere di sorpresa gli altri condomini in momenti in cui potevano credere di non essere osservati). La ripresa di quanto avveniva nelle zone di uso comune non protette, per quanto effettuata contro la volontà dei condomini, non era d’altro canto effettuata né clandestinamente né fraudolentemente.
La ripresa delle aree comuni non può, di conseguenza, ritenersi in alcun modo invasiva della sfera privata dei condomini ai sensi dell’art. 615-bis del Codice Penale, giacché la indiscriminata esposizione alla vista altrui di un’area che costituisce pertinenza domiciliare e che non è deputata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell’area siano state in concreto, inopinatamente, realizzate e perciò riprese.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha stabilito che “non era certamente volontà dell’imputato, che secondo le stesse sentenze di merito aveva installato l’impianto solo per ragioni di sicurezza esterne, riprenderne anche aspetti della vita privata dei suoi vicini all’interno della loro casa: e di tanto danno atto indirettamente le stesse decisioni di merito, evidenziando che l’angolazione delle telecamere consentiva la visuale solo incidentale di piccole porzioni di uno sporto e di un poggiolo, non interessandosi affatto del tipo e della estensione di tale visuale e, soprattutto, ricordando che l’imputato aveva fornito ai vicini la possibilità di controllare quanto visualizzato dalle telecamere (…) mediante i televisori all’interno delle loro case. Sicché può concludersi che, in relazione alla ripresa di immagini attinenti alla vita privata svolgentesi in ambito domiciliare protetto, difetta comunque l’elemento soggetto del reato”.
Avv. Renato Vitelli






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