L’accertamento tributario, ove riguardi crediti i cui presupposti si siano determinati anteriormente alla dichiarazione di fallimento, o nel periodo d’imposta in cui detta dichiarazione è intervenuta, va notificato non solo al curatore ma anche al contribuente, che non è privato, a seguito della declaratoria fallimentare, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, rimanendo esposto ai riflessi, anche sanzionatori, derivanti dalla definitività dell’atto impositivo. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile, con ordinanza n. 28707/18, depositata il 9 novembre 2018, la quale ritiene inoltre che la notifica nei confronti del fallito non esclude comunque la notifica dell’avviso di accertamento anche nei confronti del curatore fallimentare, altrimenti l’avviso stesso resta inefficace nella procedura fallimentare, con la conseguenza che la cartella notificata al solo soggetto fallito è inopponibile alla curatela fallimentare.
Il caso. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha chiarito quali sono le corrette modalità di notifica degli atti impositivi in caso di fallimento di una società di persone. Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale della Campania respingeva l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, che aveva accolto il ricorso della Curatela di un fallimento di una Sas avverso la cartella di pagamento per IVA e IRAP relative all’anno d’imposta 2002, notificata a seguito di avviso di accertamento non impugnato. L’avviso di accertamento, pur riguardando l’annualità di imposta 2002, era stato notificato in data 21/09/2006 alla società fallita (e non anche al curatore fallimentare) in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento del 03/02/2005 e nonostante che il curatore avesse comunicato la propria nomina all’Agenzia delle Entrate in sede di dichiarazione IVA, presentata in data 31/10/2005. La CTP accoglieva dunque l’impugnazione proposta dalla curatela fallimentare avverso la cartella di pagamento notificata al solo soggetto fallito, sul presupposto della mancata, previa, notifica al curatore dell’avviso di accertamento. E la CTR motivava il rigetto dell’appello, evidenziando che la notifica dell’avviso di accertamento in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento doveva essere effettuata nei confronti del curatore fallimentare, con la conseguenza che la cartella di pagamento doveva essere annullata, non essendo stata preceduta dalla valida notifica dell’atto impositivo. L’Amministrazione finanziaria presentava infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 2298 c.c. e 147 l. fall., ed evidenziando che la notifica dell’avviso di accertamento nei confronti della società di persone fallita ben poteva essere effettuata nei soli confronti del socio, rimanendo gli amministratori in carica e potendo gli stessi compiere tutti gli atti che rientrano nella loro astratta sfera di competenza e non siano incompatibili con le finalità della esecuzione concorsuale, con conseguente legittimità della successiva notifica della cartella di pagamento.
La decisione. Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era fondato. Evidenziano infatti i giudici di legittimità che, secondo la giurisprudenza di della Cassazione, l’accertamento tributario, «ove riguardi crediti i cui presupposti si siano determinati anteriormente alla dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui detta dichiarazione è intervenuta, va notificato non solo al curatore ma anche al contribuente, che non è privato, a seguito della declaratoria fallimentare, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, rimanendo esposto ai riflessi, anche sanzionatori, derivanti dalla definitività dell’atto impositivo. Ne consegue che il fallito, nell’inerzia degli organi fallimentari – ravvisabile nell’omesso esercizio, da parte del curatore, del diritto alla tutela giurisdizionale avverso l’atto impositivo – è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso siffatta tutela, alla luce dell’interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt. 43 l.fall. e 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, conforme ai principi garantiti dall’art. 24 Cost.» (cfr., Cass. n. 11618 del 11/05/2017; Cass. n. 8034 del 29/03/2017; Cass. n. 5392 del 18/03/2016; Cass. n. 4113 del 20/02/2014). Ciò significa, peraltro, che la notifica nei confronti del fallito non esclude la notifica dell’avviso di accertamento anche nei confronti del curatore fallimentare, altrimenti l’avviso di accertamento resta inefficace nella procedura fallimentare (cfr., Cass. n. 22277 del 26/10/2011; Cass. n. 25689 del 21/12/2015; Cass. n. 18002 del 14/09/2016), con l’ulteriore conseguenza che la cartella di pagamento notificata al soggetto fallito è inopponibile alla curatela fallimentare, sia perché doveva essere notificata anche al curatore fallimentare, sia perché non è stata preceduta dalla notifica dell’avviso di accertamento nei confronti del curatore (cfr., Cass. n. 12789 del 06/06/2014; Cass. n. 2803 del 09/02/2010). E, nel caso di specie, la cartella di pagamento (così come l’atto impositivo) era stata notificata unicamente alla società fallita e, pertanto, doveva ritenersi inopponibile alla curatela fallimentare, che, non essendo stata destinataria di alcuna notificazione (né dell’avviso di accertamento, né della cartella), non aveva alcun interesse ad impugnarla, anche perché l’inefficacia nei confronti della procedura può essere sempre fatta valere dal curatore davanti al giudice delegato (o al tribunale) in sede di accertamento del passivo. Sotto altro profilo, però, la cartella di pagamento era stata correttamente notificata alla contribuente, in ragione della previa notificazione dell’avviso di accertamento e del residuo interesse all’impugnazione della società fallita per il caso in cui la stessa ritorni in bonis.
Conclusioni. La Suprema Corte enunciava quindi il seguente principio di diritto: il curatore fallimentare non ha interesse ad impugnare la cartella di pagamento riguardante tributi dovuti in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, ove detta cartella non sia stata preceduta dalla previa notificazione, anche nei suoi confronti, dell’atto impositivo che ne costituisce il necessario presupposto. La ratio della notifica del provvedimento anche al soggetto fallito risiede comunque nel permettere allo stesso di prendere conoscenza della pretesa creditoria, onde valutare la possibilità di opporsi alla stessa; ciò, soprattutto qualora il curatore intenda prestare acquiescenza al provvedimento, adducendo ragioni non condivisibili sotto il profilo tecnico-giuridico, o, ancora, allorquando il medesimo curatore abbia fatto inutilmente spirare, per mera negligenza, i termini perentori entro cui adire la competente Commissione Tributaria Provinciale. Altra tesi (Cass., sentenza 10899 del 27 maggio 2015), afferma però che, in seguito alla dichiarazione di fallimento, è corretta e legittima la notifica dell’atto impositivo al solo curatore fallimentare. In base a tale tesi, gli atti del procedimento tributario debbono essere infatti emessi nei confronti del soggetto esistente al momento dell’emissione e quindi nei confronti della società, finché questa è in bonis. Con il fallimento, invece, la società non viene meno, ma i suoi organi perdono la legittimazione sostanziale (art. 44 della legge fallimentare) e processuale (art. 43 della legge fallimentare), che viene assunta dalla curatela fallimentare, la quale, per tale ragione, subentra nella posizione della fallita (cfr Cassazione n. 12893/2007). Quanto poi alle vicende relative al ritorno in bonis della società, ritorna la legittimazione del fallito, previo rispetto, però, di specifici adempimenti procedurali, in mancanza dei quali il curatore conserva la legittimazione passiva.