Prescrizione del reato. Scatta la risposta dell’avvocatura: intervista al Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Avv. Gian Domenico Caiazza.


Il 23 novembre in Piazza a garanzia della democrazia

Abbiamo proclamato l’astensione dalle udienze dal 20 al 23 novembre, per quel giorno faremo una grande manifestazione al Teatro Manzoni di Roma. Dobbiamo dare un segno di grande forza, occorre l’apporto di tutti e prendere la “guida” di quella che è una della più grandi “rivolte democratiche” degli ultimi tempi del nostro paese. 

Presidente, l’emendamento al disegno di legge Anticorruzione per bloccare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio presentato dal Ministro Bonafede, ha scatenato polemiche e ha sollevato l’indignazione della avvocatura, specialmente dei penalisti.
Come può un Ministro della Giustizia avanzare una proposta del genere?

«Bisognerebbe chiederlo al Ministro stesso. Ciò su cui mi preme porre l’accento, in tale vicenda, è che alla reazione e alla conseguenziale indignazione da parte degli avvocati penalisti, si è associato l’intero mondo dei giuristi italiani che in questo percorso elaborativo legislativo, è stato totalmente lasciato indietro, nel senso che non è stato preventivamente ascoltato.
La risposta degli addetti ai lavori, e cioè di tutti i protagonisti del diritto, è stata successivamente e in ogni caso negativa: l’emendamento presenta criticità innegabili. Vien da chiedersi, a questo punto, quale sia la reale utilità delle audizioni, dato che questo Governo, nel concepire la modifica al disegno di legge – e non volendo fare riferimento solo all’avvocatura – sembra non aver preso in considerazione il parere di alcun giurista.»

L’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado è sicuramente contraria all’art. 111 della Costituzione che statuisce la ragionevole durata del processo. Un tempo ragionevole – e non infinito – del processo penale è diritto dell’imputato riconosciuto a livello europeo (dall’art. 14 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici approvato dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, e previsto dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).
In ogni caso, il dato è che i processi in Italia durano davvero troppo. Quali, a suo avviso, le ragioni?

«Le ragioni sono molte e le risposte e le soluzioni possono essere altrettante. Guardiamo ai numeri, se leggiamo i dati del Ministero della Giustizia si comprende in maniera molto chiara che i meccanismi di rallentamento del processo sono da ravvisare nella fase endoprocessuale, dall’acquisizione della notizia di reato fino alla declaratoria delle indagini. Come accade, qualora il Pubblico Ministero necessiti di ulteriore tempo per la prosecuzione delle indagini, può richiedere al GIP (Giudice per le Indagini Preliminari), ulteriore “dilazione”; la richiesta è, ad oggi, diventata una mera formalità e se il Giudice – terzo imparziale – ritiene di dover assecondare le indagini del PM senza un reale controllo delle stesse, è evidente la discrasia del sistema che “non favorisce” né l’imputato né – tanto meno – il tempo.
La favola dell’avvocato che fa prescrivere i processi è ridicola, oltre ad essere smentita dai dati in nostro possesso. Iniziamo a metter mano ai tempi delle indagini e così renderemo realmente effettivi i tempi di legge.
Una seconda risposta è quella dei riti alternativi: il dibattimento è un luogo dove non sono consentite scorciatoie per il diritto di difesa. Guardare al rito alternativo, considerare l’opportunità di un’“incentivo” ragionando su questo aspetto come avviene in altri paesi, potrebbe dare nuovi impulsi all’esigenza di accelerazione dei processi; occorre incentivare l’opportunità per l’ imputato della “rinunzia” a difendersi ricevendo un vantaggio che può concretizzarsi in una pena più lieve. Non si può pensare di abbreviare i processi a discapito del presunto reo: è come avviene per colui che intende avere la botte piena ma la moglie ubriaca. E la politica del nostro governo, di chiara deriva populista giustizialista, sembra orientata verso questa direzione.
Una terza soluzione può essere rappresentata dal rilancio del ruolo della udienza preliminare. La funzione dell’udienza preliminare è quella di fare da filtro: dopo l’intervento in tal senso della legge Carotti nel 2000 sono intervenute alcune sentenze della Cassazione che hanno “sterilizzato” il senso di quella riforma, contribuendo all’ulteriore dilazione temporale.
Questi, naturalmente, sono solo degli alcuni degli interventi concreti ma ragionando, possiamo trovare ulteriori soluzioni.»

La prescrizione di un reato si basa sull’idea che la risposta sanzionatoria ad un fatto di reato, verificatosi ad una certa distanza di tempo, perda le sue “ragioni”, rendendo inutile l’accertamento delle responsabilità. Il principio è indubbiamente corretto ma sorge spontaneo chiedersi: chi tutela gli interessi della parte civile?

«Occorre sgombrare il campo da un equivoco: gli interessi delle parti civili sono interessi di natura risarcitoria. In capo alla persona offesa non rientra l’esigenza punitiva che è “propria” del Pubblico Ministero. L’interesse reale di tutte le parti coinvolte all’interno del processo penale è la ragionevole durata dello stesso. Quando si forma un fascicolo, la prima cosa che si scrive è la data in cui si matura la prescrizione, quella data rappresenta un limite, un modo che spinge le parti a muoversi con maggiore celerità. Se noi togliamo questo impulso, gioco forza i processi si allungano, i giudici giudicheranno con maggiore lentezza e anche le parti civili avranno la soddisfazione della propria pretesa in tempi lunghissimi.»

Anche in considerazione del fatto che in Italia la magistratura è sommersa da questioni da giudicare, aumenta sempre di più l’esigenza di non caricare ulteriormente gli uffici giudiziari; la previsione dell’abolizione della prescrizione è un po’ eccessiva ma, forse, l’avvocatura sconta la cattiva fama che ella stessa ha contribuito a dare di sé. E penso alle espressioni del Ministro quando parla degli avvocati, definendoli azzeccagarbugli. Cosa pensa di questo aspetto?

«Si tratta di un pregiudizio diffuso, tra l’altro è la lettura più volgare dell’avvocato. L’idea comune è che il processo penale sia popolato di colpevoli, si pensa all’avvocato come colui che, in un certo senso, intralci la giustizia. Chiaramente non è così, bisogna invertire la logica e ricominciare a pensare al processo come un luogo in cui si parte dalla presunzione di innocenza. D’altra parte il celebre brocardo, in dubbio pro reo, rappresenta il nodo cruciale di quello che è un patto sociale atavico e di cui l’avvocato ne è il primo garante. L’essere umano, nella propria riflessione millenaria, teme la condanna di un innocente più dell’assoluzione di un colpevole. E gli avvocati esistono – appunto – a garanzia del dato fondante il patto sociale.»

La mobilitazione della categoria forense è conseguenziale: quali le iniziative dell’Unione Camere Penali Italiane?

«Abbiamo proclamato l’astensione dalle udienze dal 20 al 23 novembre, per quel giorno faremo una grande manifestazione al Teatro Manzoni di Roma. L’idea di base è portare la comunità dei giuristi – che con questo tentativo da parte del governo è stata pretermessa – a dare il suo contributo a quella che vuole essere una grande espressione di dissenso contro questa manovra scellerata: abbiamo più di quaranta interventi di personalità provenienti da tutta Italia tra docenti universitari e giuristi e stiamo ricevendo adesioni e man forte su tutto il nazionale.

Invitiamo ad una partecipazione di massa, è un momento determinante, in cui dobbiamo dare un segno di grande forza, occorre l’apporto di tutti e prendere la “guida” di quella che è una della più grandi “rivolte democratiche” degli ultimi tempi del nostro paese.»

a cura di Argia di Donato 

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