“La vita è a colori, ma il bianco e il nero sono più realistici” ha scritto Samuel Fuller. In questo semplice aforisma si racchiude quella che potremmo definire come la parabola comunicativa discendente dei social che, di giorno in giorno, diventando sempre più veicoli, trasmissione e virus della logica duale, binaria del nero e/o bianco che divide ed allontana. Scorrendo i post sembra davvero che il mondo si sia così semplificato, tanto da poter essere spiegato rispondendo solo alla logica: così è, e non può non essere che così. Bianco o nero. Amico o nemico. Io o te. Buono o cattivo.
E a ben vedere, il bianco come latte purificatore scorre nei bit facilitando l’interrelazione dei cosiddetti buonisti. Porta infatti con sé, la predisposizione umana alla fiducia, all’accoglienza, all’intesa, alla condanna di ogni guerra. Il nero, al contrario, come petrolio infiammabile scorre nei post e mette in comunicazione gli adepti del si salvi chi può, dei sospettosi e della rabbia inascoltata.
Due fiumi di parole, il bianco e il nero che rimbalzano nei server sotto la semplice iconografia di un pollice verso, del mi piace liberatorio che crea appartenenza ed identità. Due schieramenti contrapposti e, all’apparenza, due modi diversi d’intendere e sentire il mondo. Eppure, dietro le più nobili o abiette enunciazioni di pensiero, si celano complottisti, negazionisti e creatori di fake news. Dietro la purezza, ci sono contraffattori e diffamatori. Dietro la rabbia, detrattori e calunniatori esperti. Fanno il “lavoro sporco” per smuovere le coscienze e far crescere il consenso.
In questo mare bianco nero in cui naviga il consenso nella rete, appaiono però, di tanto in tanto, anche altri colori: s’intravedono rivoli di grigio a ricordare che il mondo non è un Eden perduto, ma neanche il campo di battaglia di Apocalypse now. È un grigio che ha il sapore atavico della saggezza e della malinconica disillusione. Un grigio che cerca conforto e spesso si specchia, si tuffa e sorride nei flussi arancioni della satira e dell’ironia che dissacrano simulacri e proteggono dalla rabbia.
Molto più rari, appaiono invece i ruscelli rosa dove con leggerezza si propugna un ritorno alle origini, all’armonia dell’esserci. Queste comunità virtuali hanno un linguaggio semplice, da adulti innocenti che non vogliono crescere. Credono di poter fermare gli orchi con un solo sguardo pieno d’amore. È la tenerezza del fanciullino.
Restano infine, le correnti azzurre della razionalità che si manifestano con improvvise apparizioni o intuizioni individuali. Nelle parole, nel linguaggio dei post si percepiscono infatti ragionamenti illuminati da giuste domande e da risposte più ponderate. Il dubbio logico c’è, ma “è una passerella che trema fra l’errore e la verità”, come ha scritto impeccabilmente Gesualdo Bufalino. Sono le correnti in cui ci si allontana dal punto di vista soggettivo in favore di ragioni oggettive, impersonali e quindi universali. E’ il tentativo di realizzare quello che il filosofo Nagel ha definito come “uno sguardo da nessun luogo”, cioè il bisogno di una ragione oggettiva in cui il pensiero possa riconoscersi e spiegarsi. La necessità logica, quindi, di pensarci e sentirci come chiunque. Può convincere o meno, ma è l’altro, il modo in cui guardiamo noi stessi, quello che ci consente di sentirci logicamente come uno tra tanti. E il “chiunque” hanno scritto Francesco Alberoni e Salvatore Veca “abbraccia il sé e qualsiasi altro soggetto sul piede d’assoluta parità, Il chiunque è il prodotto della ragione”.
In quest’analisi, di certo non esaustiva, dei colori della rete, l’auspicio è che ciascuno di noi navighi con la consapevolezza, suggerita dal poeta americano John Vance Cheney che: “attraverso l’ombra e l’oscurità / guardiamo al di là degli anni: / l’anima non avrebbe alcun arcobaleno / se gli occhi non avessero lacrime.”
a cura di Elena Varriale