Produzione di materiale pedopornografico: ai fini della punibilità non serve più l’accertamento in concreto del pericolo di diffusione


Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600-ter, comma 1, n. 1), c.p., con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, non è più necessario l’accertamento del pericolo di diffusione del materiale medesimo. È quanto hanno stabilito le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 51815/18, depositata in cancelleria il 15 novembre 2018.

church-768613_960_720Il parroco e gli abusi sessuali in danno dei minori. All’esame una tragica vicenda di abusi sessuali, operati da un parroco, in danno di più minori da cui è scaturito un procedimento penale per molteplici capi di accusa tra cui il reato di produzione di materiale pedopornografico ex art. 600-ter, comma 1, c.p..
Segnatamente, tra varie accuse, al parroco è stato contestato di aver realizzato e prodotto materiale pedopornografico, o comunque di aver indotto minori di anni 18 a partecipare ad esibizioni pornografiche, dietro compenso di denaro o altra utilità economiche come ricariche telefoniche, a posare nudi per le foro da lui realizzate, aventi ad oggetto gli organi genitali, peraltro con le aggravanti di aver commesso i fatti in danno di minori e con l’abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di culto.
In esito al giudizio di primo grado il Tribunale ha accertato, in parte qua, la responsabilità penale dell’imputato per i reati ascritti per l’effetto condannandolo alla pena di giustizia. Tanto ha confermato la Corte d’appello.

La condotta di “produzione di materiale pedopornografico” e il “pericolo di diffusione” quale presupposto per la punibilità. La sentenza in epigrafe, pronunciata in occasione del giudizio di legittimità, merita particolare apprezzamento nella parte in cui le Sezioni Unite chiariscono definitivamente la portata applicativa del reato di produzione di materiale pedopornografico sotto il versante nella necessità, ai fini della punibilità, dell’accertamento – in concreto – del pericolo di diffusione del materiale in questione.
Sulla questione, in effetti, sino alla sentenza in epigrafe la giurisprudenza – pure di legittimità – ha mostrato di non essere affatto coesa.
Da un lato, i pronunciamenti che opinavano nel senso della necessità di accertare il pericolo di diffusione, anche al fine di tenere distinto il reato di produzione da quello di (mera) detenzione (art. 660-quater, c.p.).
In questo senso, è stata affermata la punibilità in relazione alla produzione – a titolo esemplificativo – a fronte dell’utilizzo di un imponente apparato informatico ovvero dell’ingente materiale pedopornografico prodotto o, ancora, per aver conservato il materiale prodotto in auto o in una cartella informatica accessibile a terzi, e, comunque, per aver fatto visionare il materiale a terzi.
Altra giurisprudenza – pervero minoritaria – ha di contro affermato la netta superfluità della verifica sulla sussistenza effettiva del pericolo di diffusione, facendo perno sulla evoluzione degli strumenti di comunicazione utilizzati dalla moderna società (si pensi, anzitutto, ai social network) e all’indubbio potere divulgativo degli stessi strumenti.

Evoluzione tecnologica: gli impatti sul perimetro della fattispecie criminosa. Le Sezioni Unite, con la sentenza in esame, aderiscono all’orientamento “evoluto”, confermando il convincimento sul potenziale diffusivo di qualsiasi produzione di immagini o video nella “piazza telematica”.
In altri termini – secondo le Sezioni Unite – ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600-ter, comma 1, n. 1), c.p., con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, non sarebbe più necessario l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale.
Nell’affermare tale principio, il Supremo Consesso di legittimità tiene ad affrontare, in ottica prospettica, le potenziali ricadute.
Anzitutto, la Corte – onde evitare ipercriminalizzazioni – sottolinea la differenza tra le condotte astrattamente a valenza pedopornografica non punibili – siccome attratte nell’ambito dell’autonomia privata sessuale (es. relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni, senza condizionamento alcuno), e quelle – penalmente rilevanti – in cui ricorre l’utilizzazione del minore, ossia la trasformazione del medesimo, da “soggetto dotato di libertà e dignità sessuali” in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere, condotta che peraltro rende invalido qualsivoglia consenso.
Sotto altro versante, le Sezioni Unite riflettono sugli effetti dell’overruling in malam partem, ossia degli effetti del mutamento – come in questo caso – della giurisprudenza rispetto alle posizioni pendenti.
A tal ultimo proposito – sempre secondo le Sezioni Unite – si tratterebbe di un falso problema, dal momento che non si assisterebbe, per effetto del mutamento giurisprudenziale, ad un ampliamento della fattispecie penale, essendo «completamente mutato il quadro sociale e tecnologico di riferimento ed essendo parallelamente mutato anche il quadro normativo sovranazionale e nazionale». In sostanza, una mera “attualizzazione” della norma al contesto dei tempi che corrono.

a cura di Alessandro Gargiulo

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