
Chi di noi non ha mai alzato gli occhi al cielo? Un tempo, così come si credeva che la Terra fosse piatta (e qualcuno sostiene ancora questa teoria), il Cielo Stellato sopra di Noi (parafrasando Kant) appariva Eterno, Immutabile (ma di certo non Immobile) e soprattutto Sferico. A distanza di migliaia di anni si scopre che molte civiltà umane, che hanno prosperato e poi sono scomparse, guardavano quasi lo stesso Cielo, possedendo cognizioni sul cosmo che, sino a qualche decennio fa, pensavamo fossero alla portata solo di coloro che possedevano gli strumenti adatti alla sua osservazione. Insomma, a volte sembra proprio che l’appartenenza ad una Cultura, alle sue basi conoscitive e morali, renda gli uomini ciechi oppure capaci di vedere anche senza utilizzare quelli che a me piace definire “amplificatori di percezione” e che altri hanno denominato con il termine di artefatti (M. McLuhan, 1976 – Galassia Gutemberg).
Ad un occhio attento, capace di guardare al di là dei propri individuali giorni terrestri, il Cielo Stellato (così come le Civiltà umane) non appare poi così eterno ed immutabile (così come la morale, sempre parafrasando Kant) ma, allo stesso tempo, inevitabilmente Infinito innanzi alle sue Espressioni ed a quello che la sua stessa Natura può comunicare all’Essere Umano. Le Stelle nascono e muoiono (così come gli esseri umani), Le Civiltà prosperano e decadono…ma Tutto continua ad Esistere ed a Scorrere (parafrasando qui Eraclito e, in un certo senso, Confucio), in nuove forme, con nuove identità (sempre più semplici nella loro relazionale e reciproca complessità), e ciò che ci appare come Immutabile ha l’unico scopo di non farci perdere sulla strada della profonda conoscenza dell’Essere, nella condivisione della Memoria collettiva, al di là di tempo e spazio, superando addirittura la velocità della Luce. Così come il Cielo Stellato, l’Uomo muta se stesso e le Civiltà che esprime non sono altro che mezzi/medium attraverso i quali avvicinarsi alle sfere celesti senza, però, raggiungerle mai…come una Eterna Torre di Babele che continua a crollare davanti alla monolitica arroganza umana: detenere per sé la Verità, conquistarla e dominarla, per costringere il proprio Sé nell’eterna fissità di una immutabile illusione.

Eppure, fortunatamente, Le Civiltà crollano oppure si trasformano! Allora, mi viene in mente che forse proprio il processo di Globalizzazione vuole indicarci qualcosa: le Civiltà non necessariamente muoiono o vengono dimenticate, ma semplicemente si relazionano e, se si è fortunati, si fondono (senza confondersi) per far nascere qualcosa di Nuovo…chissà, un Nuovo Mondo, un Nuovo Uomo. Forse proprio la filosofia e la psicologia sono quelle discipline prettamente umane che si avvicinano a comprendere tale “mutamento”. Negli ultimi decenni, infatti, l’Occidente ha sviluppato un interesse profondo per la psicologia orientale, individuando nello Spirito, nella ricerca della Totalità olistica e del Sacro lo sfondo quasi imprescindibile di ogni formulazione psicologica che l’Oriente abbia fornito della personalità umana.
In particolare, la psicologia esistenziale, la psicologia umanistica, il pensiero di Rogers, la terapia della Gestalt e la psicologia analitica junghiana hanno attinto in molti loro aspetti alle teorie orientali della personalità, interpretandone alcuni assiomi di base e applicandoli alla struttura teorico-pratica delle rispettive scuole di pensiero. Difatti Carl Gustav Jung, soprattutto negli ultimi anni della sua vita nei quali approfondì anche concetti ed espressioni simboliche dell’Alchimia occidentale, si dedicò particolarmente alla comprensione degli insegnamenti tradizionali e dei testi sacri dell’Oriente e dell’Occidente, utilizzandoli come specchio critico del radicale dualismo occidentale tra materia e psiche. Il confronto con il mondo orientale, quindi, aveva come fine quello di aiutare l’uomo occidentale a relativizzare la propria tendenza estroversa, il predominio attribuito alle funzioni intellettuali, la convinzione che l’Io sia l’istanza suprema della psiche, e indurlo così ad aprirsi ai valori complementari propri della cultura orientale: introversione, importanza della vita immaginativa, non centralità dell’Io. Una prospettiva, questa, che voleva quasi fondare una vera e propria psicologia comparata interculturale dell’esperienza interiore, della definizione del Sé. È comunque indubitabile che Il pensiero orientale si mostri a noi più simile a quello della Grecia Antica o dell’Africa Nera che, d’altronde, ha una forma di coscienza diversa, la quale non procede linearmente, ma per vuoti e pieni. La conseguenza è quella di una “mentalità” che, non procedendo linearmente come quella occidentale, non scarta e non esclude ma tende invece all’inclusione, all’annessione (un po’ come il nostro concetto di inconscio).

Ad una coscienza lineare (occidentale) farebbe da contrappunto un inconscio circolare (orientale). Ad una coscienza che scarta un inconscio che include. Ad una coscienza che sta nella storia, un inconscio ciclico dove tutto ritorna e si ripresenta eternamente. Ad una coscienza che crea, “gettata” nella storia e quindi nell’esistenza, un inconscio di potenze, di essenze potenziali che sembrano “fissate” nell’eternità della specie (che nelle filosofie e psicologie orientali sono sempre poste al di sopra dell’Uomo e non al di sotto come in occidente).Attraversando così la differenza tra Res Cogitans e Res Extensa di Cartesio, La “cosa in Sé” Kantiana e il fulcro di conoscenza de “l’io penso”, attraversando la sospensione del giudizio (epoché) husserliana e quella di Memoria e Desiderio bioniana, sembra quasi di poter scorgere lo Slancio Vitale di Henri Bergson (descritto nel suo libro Evoluzione creatrice del 1907) come una delle facce della medaglia sulla quale è impressa anche il senso dell’energia Kundalini per gli orientali (ed i praticanti di yoga in particolare).

Mentre quindi l’Occidente sembra prediligere l’Azione nella ricerca di Sé, l’Oriente sembra prediligere la Contemplazione analitica delle Mutazioni del Sé. Azione (composizione) e Contemplazione (scomposizione/conoscenza), il cui ultimo momento di conoscenza conduce ad una nuova Azione (nuova composizione). Si potrebbe quasi avanzare l’idea di una dinamica di superamento propria del pensiero hegeliano (semplificato nella terna tesi, antitesi e sintesi), ovvero la dinamica di una profonda Ricerca-Azione umana (come la definirebbe, forse, Kurt Lewin) oppure una vera e propria tensione trifasica, propria della corrente alternata, se dovessimo seguire il pensiero di Nikola Tesla. La fluente prospettiva di dialogo e dinamica conoscitiva fin qui descritta tra Occidente e Oriente ci conduce così sino alla rappresentazione di una specie di Sé globalizzato, che non è ancora un Me nazionalizzato e/o individualizzato (nonostante sia capace di comprenderlo in sé), volto in generale alla ricomposizione di ogni forma di dualismo, caratterizzante invece la coscienza ordinaria, entro una dimensione di incoscienza non rimossa, ma non per questo necessariamente senza controllo né indirizzo evolutivo. Insomma, uno stato di Fede immanente verso una “coscienza universale” (molto spesso scrutabile attraverso l’intima assonanza con il valore insito in Simboli e Archetipi) capace di contenere ed essere superamento delle dualità e non semplice sintesi: trasmutazione e non semplice trasformazione.
a cura di Salvatore Rotondi