Respinta la richiesta di protezione presentata da un cittadino della Guinea


Respinta definitivamente la richiesta di protezione presentata da un cittadino della Guinea. Per i Giudici la situazione del suo Paese di origine è sì difficile ma non tale da mettere a repentaglio la vita dei cittadini. Irrilevante poi il percorso di integrazione compiuto in Italia dallo straniero (Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 33875/2019, depositata il 19.12.2019).

Il percorso di integrazione in Italia avviato dallo straniero – che ha inutilmente chiesto protezione – non è elemento sufficiente per bloccarne il ritorno nel Paese di origine. Irrilevante, in sostanza, il fatto che egli abbia intrapreso lo studio della lingua italiana, e abbia svolto in Italia prima un’attività di formazione e poi un’attività lavorativa.

Riflettori puntati su un uomo, originario della Guinea, approdato in Italia e desideroso di ottenere «protezione». La richiesta viene però respinta dalla ‘Commissione territoriale’, e questa decisione viene ritenuta legittima dai giudici del Tribunale.
Inutile il richiamo dell’uomo alla sua storia personale, caratterizzata da vicissitudini familiari – la morte della madre, il trasferimento col padre, e le aggressioni subite dal genitore ad opera di un clan – e dalla situazione di povertà vissuta in patria.
E inutile si rivela anche la decisione di proporre ricorso in Cassazione.
Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, va sottolineato innanzitutto che «la Guinea, pur essendo investita da una difficile situazione politica e sociale, in relazione all’esistenza di scontri politici tra varie fazioni e alla violazione dei diritti umani anche da parte delle autorità governative, non è interessata da una condizione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato interno tale da porre in pericolo la vita della popolazione civile per il solo fatto di soggiornare nel Paese».
Impossibile, quindi, riconoscere una condizione di «vulnerabilità» al cittadino della Guinea approdato in Italia.
E in questa ottica i Giudici ritengono secondario anche il richiamo fatto dall’uomo al proprio livello di «integrazione» in Italia. Inutile, in sostanza, il fatto che egli abbia «intrapreso lo studio della lingua italiana» e abbia «svolto in Italia prima un’attività formazione e poi un’attività lavorativa»: questi dati non costituiscono «fatti ostativi al suo rientro in patria», concludono i Giudici.

Alessandro Gargiulo

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