di Salvatore Rotondi
“Non c’è passione nel vivere in piccolo, nel progettare una vita che è inferiore
alla vita che potresti vivere.”
(Nelson Mandela)
“Avrei voluto dipingere persino il vento,
dare un volto all’amore o addirittura ritrarre la passione.”
(Dumitru Novac)
“Non può comprendere la passione chi non l’ha provata.”
(Dante Alighieri)
“Se non respiri attraverso la scrittura, se non piangi nello scrivere, o canti scrivendo, allora non scrivere, perché alla nostra cultura non serve.”
(Anaïs Nin)
“Perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la passione.”
(Apuleio)
Un nuovo inzio
Le forme della passione

Anno Nuovo, Fil Rouge Nuovo: nel 2023, per questa rubrica che ormai conta ben cinque anni di attività, attraverseremo le Forme della “Passionalità Umana”.
Non voglio nascondere che, personalmente, mi piacerebbe parlare più di fenomenologia della passione che non di “forme”. Nonostante le mie ricerche, però, un vero e proprio studio e classificazione dei fenomeni passionali, quali si manifestano all’esperienza nel tempo e nello spazio, sembra non esistere. Chissà, forse nei prossimi mesi, applicando il metodo fenomenologico, attraversando le forme odierne della passione riuscirò ad avvicinarmi a tale intendimento.
Passione
Intanto, come sempre, partiamo dall’etimologia. Il termine “Passione” è riconducibile sia al participio perfetto del verbo latino pati, patior, passus che significa letteralmente “sopporto, patisco”, sia al greco πάθος (pathos) che racchiude anch’esso il senso della sofferenza, ma indica inoltre una forte emozione. Difatti, il verbo latino citato ritrova la sua origine nella radice greca “path” derivante, a sua volta, da “pn.th”, che significa “ciò che uno ha sperimentato, passione, emozione”. Ritroviamo qui la pregnanza semantica del verbo greco “pascho” e della sua radice “path”, in cui si racchiude l’oscuro sentire di una condizione, di uno stato, di una circostanza, che, di volta in volta, consente di cogliere il senso di “passione” in tutte le sue sfaccettature. Il termine può così acquistare, nel suo essere “pathos”, anche un’accezione prorompente di slancio, di sconvolgimento e turbamento dei sensi e dell’animo, un desiderio quindi, un trasporto che il pensiero umano ha sempre contrapposto al λόγος (logos), alla ragione, come le due forze polarizzanti dell’uomo in tutte le forme del proprio Essere. D’altronde, ogni uomo compie le proprie azioni sulla base di scelte, scatenate dal proprio cuore o dall’intelletto o da entrambi; quest’ultima, peraltro, è la condizione più auspicabile poiché una scelta fatta solo per “passione” potrebbe, in seguito, rivelarsi “inutile” e consumarsi in un tempo brevissimo, mentre una fatta solo con “raziocinio”, si rivelerà, quasi sicuramente, “non promettente” per un futuro roseo e soddisfacente. Il tale prospettiva, allora, il significato di “Passione” si contrasta fortemente con quello di uso comune da cui si coglie un soggiacere, un subire, una ricezione e una sopportazione passiva del patimento.
Forza
Mito, poesia e arte umana in generale ci insegnano che l’umanità vive, agisce e subisce secondo le varie accezioni della passione che spinge l’uomo a non arrendersi davanti ad un ostacolo, anzi, ad incitarlo a saltarlo con più convinzione e coraggio, in modo da farlo arrivare vittorioso al traguardo; oppure lo abbatte fino a prostrarlo e a renderlo vittima di sé e degli altri. Per scongiurare ciò, è sempre più necessario ritrovare l’impiego di sé stessi per essere in grado di amare, credere, restituirci Forza, vigore, entusiasmo, voglia di sfidare e di sognare, in una sola parola: per ritrovare il senso della “passione”.
Uno dei problemi principali dei nostri giorni si sostanzia, difatti, nel fatto che la Crisi di ciò che è, una vera e propria trasformazione ontica imprevista, avvertita in tutti gli ambiti e gli aspetti individuali e sociali, ha colpito anche ontologicamente la Passione umana. In tutto ciò che si fa e si è diventa sempre più evidente e indubitabile il bisogno di applicarsi con passione, onde riuscire appunto a vivere pienamente le proprie scelte di Vita: nello studio, nella professionalità, nei rapporti affettivi, etc. La passione, infatti, ci fa credere di più in ciò che facciamo, ci dà entusiasmo, voglia di sognare e di realizzarci, ci dà la forza di non arrenderci e di voler fare sempre di più, per realizzare noi stessi e raggiungere i nostri obiettivi. La passione ci permette di arrivare, sempre, alle giuste decisioni, perché, se le scelte si fanno sia col cuore che con l’intelletto, allora: non si sbaglia mai!
Se l’essere umano quindi non ha almeno una passione, allora non vivrà mai la sua vita completamente. Sarà sempre succube di una negligenza che si abbatterà su di lui e renderà la sua vita apatica, piatta e priva di dinamicità, di movimento. Se la Vita viene attraversata senza un “briciolo” di passione, infatti, non si esperirà niente, né si avrà voglia di relazionarsi con l’Altro. Appassionarsi a qualcosa vuol dire avere il desiderio, la forza e il coraggio di vivere una vita piena di sorprese, che poi porteranno a nutrire sempre più quella passione che si coltiva nel petto, arde, divampa e rende vitali. D’altronde, una Vita senza passioni è nient’altro che una Esistenza senza Senso, non vissuta.
Vita
Difatti, l’etimologia della parola Vita è da ricondursi alla radice ariana giv- che riconduce all’idea di “stato di attività della sostanza organizzata”, in altri termini, all’idea di “forza vitale”. In particolare, il termine è riconducibile al sanscrito g’ivathas (vita), dove la g’ aspirata è stata sostituita dalla v nel latino arcaico vivita che, a sua volta, si è contratta nel latino vita e parallelo al greco bios. È comunque probabile che la parola nasca da un’astrazione di “vivus”, vivo, ovvero una qualità di un corpo intuitiva, semplice, immediata, capace di accomunare un’intera classe dell’Essere, in un ciclo armonico appartenente sia all’animale che al vegetale.
Essere vivi, allora, significa desiderare di crescere, d’esprimere la propria volontà di presenza e, contemporaneamente, di trasformazione continua, al di là della morte stessa dell’individuo, nel passaggio del testimone di ciò che si è appreso nel proprio cammino, nel proprio vissuto, al di là di ogni dolore e di ogni felicità.
La Vita, pertanto, sembra sostanziarsi esistenzialmente nell’azione, nell’esercizio della volontà come determinazione fattiva e intenzionale di una persona ad intraprendere una o più azioni volte al raggiungimento di uno scopo preciso. In tale prospettiva, la Volontà (che, generalmente, rappresenta la facoltà di una persona di scegliere e raggiungere con sufficiente convinzione un dato obiettivo) di vivere consisterebbe quindi in quella Forza di Spirito diretta dall’essere umano verso il fine, o i fini, che egli si propone di realizzare nel corso della propria esistenza, o anche più semplicemente nel potere essere impiegato nelle sue azioni semplici e quotidiane. Esempi di tale volontà potrebbero così essere tanto il desiderio di lasciare un’eredità tangibile ai figli e/o ai parenti, o dall’altro lato il proposito di riuscire a comprare una casa per sé.
Volontà
In questo senso, allora, la Volontà, intesa qui come la capacità passionale (pathos) di scelta per sé anche al di là dei desideri e condizionamenti degli Altri, si può accomunare alla parola assertività, ovvero l’Esserci libero ed auto-determinante, autonomo (così come inteso, in un certo senso, nel pensiero di Leibniz o Kant), accettante una legge di causalità, che egli stesso riconosce come tale, ma comprendente un orizzonte di responsabilità sulle conseguenze delle proprie scelte scevra dal peso del senso di colpa volto solo ad incatenare ad un mondo privo di possibilità riparative.
Per Kant la volontà è lo strumento che ci permette di agire, obbedendo sia agli imperativi ipotetici (in vista di un obiettivo), sia a quelli categorici, dettati unicamente dalla legge morale. Nella sua filosofia, in un mondo dominato dalle leggi deterministiche della natura (fenomeni), solo la volontà morale è ciò che rende possibile la libertà, perché obbedisce ad un comando che essa stessa si è liberamente dato, non certo in maniera arbitraria, bensì conformemente alla sua natura razionale (noumeno), la cui essenza (secondo Schopenhauer) risiede proprio nella volontà anche irrazionale, un profondo istinto di Vita, di fare Esperienza. Ma se per i post-kantiani (come Fichte e Schelling) la volontà è l’assoluta attività dell’Io (o dello Spirito) in contrapposizione alla passività del non-io (cioè della Natura), secondo una certa interpretazione della visione Hegeliana tale attrito oppositivo si risolve nello sviluppo della Ragione dialettica stessa, nella quale possono riuscire a convergere, Superandosi, Passione e Intelletto…verso la Consapevolezza e l’Individuazione di Sé, verso la possibilità del Cambiamento che è l’essenza del Vivere attraversando le Infinite sue Forme che si agitano, tra l’Essere e il non-Essere, come in un Cosmico Vaso Alchemico.
a cura di Salvatore Rotondi