Una delle questioni più spinose che caratterizzano il rapporto tra i coniugi, dopo i provvedimenti della separazione e/o del divorzio, è quella dei ritardi dei padri nel riaccompagnamento dei figli a casa, in occasione dell’esercizio del diritto di visita (rectius: frequenza). Ovviamente, ci riferiamo ai padri solo per effetto di un dato statistico, essendo maggiore la percentuale di casi in cui i figli vivono prevalentemente con la madre, rispetto a quelli in cui i minori abitano con l’altro genitore.
Quando la conflittualità tra i genitori è ancora molto lontana da una benché minima elaborazione, accade frequentemente che, a fronte anche di minimi ritardi, vengano sporte querele in danno del genitore che, magari, voleva solo trattenersi un po’ di più col proprio figlio. Di tale seria problematica si è compiutamente occupato il Tribunale di Ascoli Piceno, sezione penale, che ha pronunciato la sentenza n. 641/2016 con la quale si è concluso un processo che vedeva imputato il padre di due bambini, conviventi con la madre, per i quali era stato disposto l’affidamento condiviso. L’uomo era stato accusato di aver eluso il provvedimento emesso dal Tribunale, in occasione della separazione, poiché, a dire della moglie, aveva reiteratamente violato i tempi e modi di frequentazione previsti negli accordi di separazione, omettendo di riconsegnare i figli alla madre nei tempi e secondo le modalità previsti.
Le accuse riguardavano due episodi.
In uno, il padre avrebbe dovuto riaccompagnare i bambini a casa alle 21:00, ma ometteva di farlo. La moglie, pertanto, provocava l’intervento di una pattuglia dei Carabinieri della locale stazione, i quali, entrati nell’abitazione paterna, rilevavano che i bambini guardavano la TV del tutto tranquillamente.
Nell’altro, il padre aveva preteso di prendere i bambini in un orario anticipato rispetto a quello stabilito.
L’imputato non negava quanto dichiarato dalla moglie, spiegando anche le ragioni del suo comportamento ed individuandole nel desiderio di vedere con i figli la partita, nel primo caso, e nel voler prelevare i figli da scuola, al posto di stare ad attenderli, nel secondo.
Il Tribunale, con la sentenza indicata, ha stabilito che non integra il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, previsto e punito dall’art. 388 c.p., il comportamento del padre non convivente che adotti elasticità negli orari di visita dei figli minori, in regime di affidamento congiunto. Tale atteggiamento viola solo le regole della “buona prassi”, e non appare penalmente sanzionabile.
Il Tribunale precisa che, ai fini dell’integrazione del reato de quo, non è sufficiente la mera inottemperanza o un semplice rifiuto di eseguire il provvedimento giudiziale, ma occorre un comportamento, commissivo o omissivo, diretto a frustrare o a impedire il risultato concreto cui tende il comando giudiziale. Il Tribunale, pertanto, assolve l’imputato.
Tale condotta può, tuttavia, avere conseguenze sotto il profilo civilistico, in quanto il genitore, con il quale il figlio prevalentemente vive, può chiedere di modificare il provvedimento, precedentemente adottato, qualora provi che le iniziative dell’altro genitore siano pregiudizievoli per i figli.
a cura di Armando Rossi