Mi punge vaghezza di sviluppare qualche pensiero critico sulla predilezione degli uomini di legge per le citazioni a cui, ritraendosi dalla ragione, affidano le loro tesi.
Non v’è giureconsulto, grande o modesto che sia, il quale riesca a sottrarsi alla cosiddetta scienza delle citazioni1. Già Cicerone, scrivendo a Caio Trebàzio Tèsta, giurista romano vissuto nel 1° secolo a. C., aveva fatto ricorso alla citazione per rafforzare il consiglio di conquistare l’amicizia di Cesare.
E’ una storia antica, quella dell’ossessione per la copia immensa librorum di cui parla Teodosio2, e che nel trascorrere del tempo è stata dapprima bersaglio del sarcasmo trafiggente di François Rabelais in quell’ode epica del ricorso alla citazione che si leva da La vie Treshorrificque du Grand Gargantua3, poi motivo della condanna di Ludovico Antonio Muratori pel principio d’autorità, che “ognuno si sforza di trarlo a sé con argani e funi”4.
Sferzante è la prosa con cui il dottissimo presbìtero descrive la scena d’un processo: “lasciollo ben dimenare il dottore avversario, ed eccoti ch’egli sfodera un’allegazione posteriore del medesimo, in cui sostiene tutto il contrario, disdicendo quanto egli avea scritto su questo punto. Colpito da questa impensata archibugiata il contrario laureato perdè la voce…”5
Insomma, allegare autori, significa trarre argomenti e conclusioni non già dall’esperienza, “maestra ai loro maestri”, ma da “trombetti e recitatori d’altrui parole”6.
A ben guardare, il giureconsulto argomenta per citazioni perché si muove, riflette, vive in un mondo di carta: è il ritratto vivente dell’uomo tutto formato di libri, ghiribizzosa invenzione dell’Arcimboldo7.
Il ricorso all’auctoritas dell’ipse dixit (nel mondo classico riferito all’acritico atteggiamento delle scuole pitagoriche, nel Rinascimento mandato al macero dall’antiaristotelismo neoplatonico fiorentino8, e poi dall’emancipazione illuministica del diritto, erede del moderno umanesimo – mentr’era incipiente il positivismo scaturente dalla speculazione di Laplace, Newton, Lavoisier -, e, infine, dagli inesorabili scrittori milanesi del “Caffè” condannato come pericolosa deriva della razionalità), nulla può, avrebbe detto Galileo Galilei, perché il grandissimo libro della ragione – quale stupenda metafora! – si burla del ricorso alla citazione: “…vi dico che, nelle cose naturali, l’autorità d’uomini non val nulla; ma voi come legista mostrate farne gran capitale; ma la natura, Signor mio, si burla delle costituzioni e dei decreti de’ principi, degl’imperatori e de’ monarchi, a richiesta de’ quali ella non muterebbe un iota delle leggi e statuti suoi”.9
E Descartes, il padre del razionalismo moderno, del quale i philosophes – Diderot, Condorcet, D’Alembert, Voltaire, Fontenelle &c. – non avevano pienamente accolto il metodo e rifiutato la metafisica, ma avevano riconosciuto l’importanza della sua lotta per l’emancipazione della ragione dal giogo dell’autorità, scrive: “Mais pour ce qu’alors je désirais vaquer seulement à la recherche de la verité, je pensais qu’il fallait que je fisse tout le contraire, et que je rejetasse comme absolument faux tout ce en quoi je pourrais imaginer le moindre doute, afin de voir s’il ne resterait point, après cela, quelcque chose en ma créance qui fût entièrement indubitable…Je rejetai comme fusses fausses toutes les raisons que j’avais prises auparavant pour démostrations10.
Cosí, Cartesio guadagna il plauso di Giambattista Vico, il “divino napoletano”: “Si dee certamente obbligazione a Renato, che volle il proprio sentimento regola del vero, perché era servitù troppo vile star tutto sopra l’autorità”11. Dal canto suo, Max Weber, ultimo genio aristotelico delle scienze sociali, si dà a dimostrare l’irrazionalità del potere carismatico (ogni potere si sforza di suscitare e coltivare la fede nella propria legittimità!), che deve cedere quando gli si “contrapponga il comando concorrente di un altro individuo con pretesa di validità carismatica”12.
Ciò che lucidamente già aveva còlto Blaise Pascal, il quale, in relazione a una famosa controversia teologica, andava dicendo che una certa decisione era stata adottata in quanto è piú semplice “de trouver des moines que des raisons“13; mentre, viceversa, i Gesuiti, alla stregua del celebre motto da loro stessi coniato, predicavano la completa e acritica obbedienza all’autorità dei sapienti: perinde ac cadaver: senza nessuna obbiezione, precisamente come un cadavere.
Leggo nel pregevole saggio d’un autorevole studioso: “è singolare constatare come in tempi assai prossimi al nostro l’opposizione alla giurisprudenza, al suo culto irrazionale e antiscientifico della citazione e dell’autorità, sia ancora una volta venuta a manifestarsi attraverso un’immagine che faceva immancabilmente riferimento ai libri, alle biblioteche dei giuristi. ‘Tre parole di rettifica del legislatore, ed intere biblioteche diventano carta straccia’, secondo la celebre – anche troppo celebre nonostante la sua piatta e rozza sicurezza, di uno scientismo affatto borghese – affermazione del Kirchmann […] Queste biblioteche che diventano carta straccia non sono, infatti, sul piano espressivo ed immaginativo, l’esatto equivalente del gran ‘falò muratoriano e di quel volumina omnimodo corrumpentur con cui proprio un legislatore aveva così fermamente espresso la sua sanzione appunto allo scopo di mantenere integra e autentica la sua opera di rettifica?”14
Orbene, allacciandoci al nostro ordinamento giuridico, è un fatto che avvocati e giudici, facendo vere e proprie acrobazie gnoseologiche, si diano sovente a confutare le tesi avverse facendo ricorso all’ipse dixit della Corte di Cassazione, cioè all’autorità della sua “giurisprudenza consolidata” (è da tempo, però, che la funzione di nomofilachia – ritenuta essenziale per giustificare l’esistenza stessa della Corte – si sta dissolvendo), dove si trovano sempre le massime che fanno comodo in quanto enunciati autoritativi, peraltro trascurando di rintracciare le ragioni giustificatrici della decisione medesima15. E, questo, sebbene la scientificità della giurisprudenza per molteplici ragioni si ponga come un problema, di cui la principale è costituita dal fatto che ogni possibile risposta esige che sia presupposta una specifica nozione di scienza, onde il problema è destinato a spostarsi sul terreno generale dell’epistemologia. Probabilmente, è proprio per questo che il Legislatore, all’art. 118, n. 3 delle Disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile, ha stabilito che nella motivazione della sentenza “in ogni caso dev’essere omessa ogni citazione di autori giuridici”.
Ciò che secoli avanti aveva visto col suo occhio acuto Thomas Hobbes: “i commentari sono comunemente piú soggetti al cavillo che il testo e per tale ragione hanno necessità d’altri commentari”16.
Da altro angolo visuale, l’esperienza storica fa registrare un singolare paradosso: il ricorso all’autorità, che con la sua forza intesa come opinione dominante provoca irrefutabilmente l’imporsi di altre autorità, genera un perenne conflitto il cui esito non può essere altro che il crollo della medesima autorità.
Et de hoc satis: concludo questa mia breve “divagazione” chiedendo perdono per il ricorso alle… citazioni di cui è costellata.
a cura di Salvatore Maria Sergio
1 Nell’ambito della storia del diritto, sull’argomento si vegga: M. Massei, “Le citazioni della giurisprudenza classica nella legislazione imperiale”, in Scritti di diritto romano in onore di Contardo Ferrini, Milano 1946,
2 Nova Theodicea, I, 1.
3 Flammarion Èditeur, Paris 1920, giusta l’edizione di François Juste, Lyon MDXLII.
4 Dei difetti della giurisprudenza, Venezia 1742.
6 Leonardo da Vinci, Scritti, a cura di L. Beltrami, Milano s.d.
7 Celebre pittore cinquecentesco, autore di bizzarri ritratti realizzati assemblando in una sorta di trompe-l’oeil elementi diversi: frutta, pesci, appunto libri &c.
8 Nei Topici [100b 18, 21-23] aristotelici, le opinioni autorevoli radicate nella comunità, éndoxa, sono quelle “che appaiono accettabili da tutti, oppure dalla grande maggioranza, o a quelli oltremodo noti e illustri”
9 Lettera al giureconsulto Francesco Ingoli, in Opere, a cura di F. Pacchi, Fulvio Rossi editore, Napoli 1970.
10 Descartes, Discours de la méthode, 1637, ristampa anastatica a cura di H. Goutier, collana del Centro interdipartimentale di Studi su Descartes, Università di Lecce, Conte editore, Lecce.
11 G.B.Vico, Seconda risposta, in Opere di Giambattista Vico ordinate e illustrate coll’analisi storica della mente di Vico, a cura di G. Ferrari, Milano 1852.
12 Wirtschaft und Gesellschaft, trad it. Economia e società, a cura di P. Rossi, Comunità, Milano 1974 (3^ ed.)
13 Oeuvres complètes, Gallimard, Paris 1954.
14 L. Mossini, Le citazioni dei giuristi, Giuffrè, Milano 1975.
15 In tema, si vegga: Il giudizio di cassazione nel sistema delle impugnazioni, a cura di S, Mannuzzu e R. Sestini, supplemento al numero di Gennaio 1992 di “Democrazia e Diritto”, Edizioni Tritone, Roma 1992, passim.
16 A Dialogue between a Philosopher and a Student of the Common Laws of England, London 1668, trad.it. e introd. T. Ascarelli, Milano 1960.