Il Tribunale del lavoro di Torino ha respinto il ricorso, primo del genere in Italia, dei sei fattorini di Foodora che avevano intentato una causa civile, contestando l’interruzione improvvisa del rapporto di lavoro dopo le proteste del 2016 per ottenere un giusto trattamento economico e normativo.
La sentenza è figlia di un contesto normativo che ormai è lontano anni luce da quello che per decenni aveva reso l’Italia la patria del garantismo occupazionale, ma che dopo le innovazioni (o involuzioni) legislative, ormai non lo è più.
In meno di una settimana, si delinea uno scenario che deve dare spazio a grandi riflessioni nel mondo del lavoro.
Già Milano aveva dato un segno con la sentenza a sfavore della lavoratrice di IKEA che chiedeva una flessibilità ed aveva criticato il suo datore di lavoro, il quale di pronta risposta la licenziava per aver leso il “rapporto di fiducia”.
Il provvedimento del giudice è sicuramente non definitivo che, a seguito di una prima valutazione in fase di urgenza, ha ritenuto legittimo l’allontanamento adottato nei confronti della lavoratrice, la quale si sarebbe resa colpevole di gravi mancanze, «disattendendo apertamente disposizioni aziendali».
A Torino invece viene integralmente accolta la tesi dell’azienda, i cui legali hanno sostenuto l’assenza del vincolo di subordinazione, fondamentale per dichiarare illegittima l’interruzione del rapporto di lavoro.
Erano i fattorini a gestire in autonomia il tempo da dedicare al lavoro, l’azienda non si è mai vincolata a far lavorare.
I legali dei lavoratori sostengono invece che:
“i rider di Foodora erano sfruttati, monitorati dall’azienda in ogni loro mossa. E chi si è lamentato è stato espulso”, “Una discriminazione evidente”. I ragazzi dovevano essere reperibili in maniera costante e continuativa e, tramite un’applicazione, erano monitorati, tracciati e valutati in ogni loro mossa. L’app era una sorta di braccialetto elettronico.
La multinazionale tedesca della consegna di cibo a domicilio vince quindi il primo round contro i fattorini in bici.
Non viene quindi al momento messo in discussione uno dei principi della Gig Economy, l’economia dei lavoretti da tempo libero.
I legali avevano chiesto un risarcimento di 20mila euro per ciascuno lavoratore per la violazione delle legge della privacy e cento euro al giorno per il mancato rispetto delle norme antinfortunistiche.
A Foodora non importava delle condizioni del lavoratore, ma il totale assoggettamento al potere del datore di lavoro, con un controllo totale sugli orari che potevano essere modificati anche senza alcun preavviso, questa è la tesi della parte ricorrente.
La difesa di Foodora invece dice che : «L’azienda non ha violato la privacy dei rider. L’applicazione utilizzata sullo smartphone poteva accedere, attraverso il gps, soltanto al dato sulla geolocalizzazione, istantaneo e non memorizzato», quindi nessun controllo, come del resto la norma definisce e specifica ampiamente (Garante della Privacy, nel Provvedimento n. 448 del 09 ottobre 2014).
Cosa è Foodora?
“Ordina i piatti che ami dai tuoi ristoranti preferiti”, è quanto si legge accedendo alla pagina online di Foodora, la startup nata in Germania nel 2014 ed arrivata in Italia, nel 2015, a Milano e Torino. E’ presente online in dieci Stati: Austria, Canada, Australia, Germania, Finlandia, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia. Attraverso l’applicazione per mobile o il sito internet della società, i clienti trovano i ristoranti nelle vicinanze del domicilio o del luogo di lavoro. Dopodiché selezionano il locale preferito e il piatto desiderato e procedono all’ordine. Il pasto viene infine ritirato da un fattorino in bicicletta
L’app-fattorino in grado di concludere la consegna nei tempi stabiliti viene individuato attraverso un sistema di geolocalizzazione Il metodo Foodora ha sollevato perplessità sulla cosiddetta “gig economy”: l’economia dei lavoretti del tempo libero, fatti in genere dai giovani per arrotondare. Matteo Lentini e Gianluca Cocco, i due country manager italiani dell’azienda, nel 2017 hanno spiegato che il contratto applicato da Foodora Italia ai nuovi collaboratori:
– «Ogni consegna ci costa almeno 5 euro. 2.90 euro li paga il cliente, il resto lo mettiamo noi. In un anno abbiamo contrattualizzato 700 persone a co.co.co. I contributi alla gestione separata Inps a carico nostro e la copertura Inail contro eventuali infortuni. E la copertura assicurativa in caso di danni contro terzi».
Buona pedalata.