Nella attività di uno psicologo clinico ci si abitua a conoscere una varietà sconfinata di tipi umani o almeno questo è quello che direbbero molti dei miei colleghi. Per iniziare, quindi, cercherò di dare delle definizioni di massima dei termini di Empatia e Narcisismo.
In psicologia, con il termine empatia si intende indicare comunemente la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona. Per narcisismo, invece, si intende riferirsi ad un atteggiamento che tende a esaurire la personalità nella esclusiva considerazione ed esaltazione di sé stesso e della propria immagine/rappresentazione.
Personalmente amo dire che nella pratica professionale di ognuno di noi è possibile incontrare persone uniche e diverse, le une dalle altre, che però per svariati motivi di vita tendono ad esprimere costanti comportamentali ed emotive. Tali aspetti invarianti, specialmente nell’ambito del relazionarsi con se stessi e con gli altri, tendono a prendere tra gli essere umani forme similari e peculiari, quasi come a voler rilevare una modalità comunicativa umana atta a renderci comprensibili gli uni agli altri, ancor prima che a se stessi. Proprio in tale prospettiva intendo qui collocare una coppia di atteggiamenti primariamente emotivi (e, solo secondariamente, definenti le caratteristiche di personalità del singolo), dettati dall’usuale modo di essere in relazione (in particolare dell’essere in coppia): empatici oppure narcisisti.
Tanti articoli sono stati scritti in merito a questi termini, in particolare per quanto concerne le dinamiche di coppia moderne e le patologie ad esse collegate. Io qui intendo parlarne, invece, nella loro valenza “riflessiva”. Mi spiego meglio: entrambi questi aspetti, facce di una stessa medaglia, possono essere intesi come le componenti basiche di uno Specchio o, per essere più precisi, dello specchio della nostra attuale società occidentale (la stessa metafora dello specchio, invece, ha tutta un’altra valenza nella tradizione culturale dei popoli asiatici, ma questa comunque è un’altra storia). Da cosa è costituito uno specchio? Si parte dalle lastre di vetro, vale a dire una miscela di calce e silice tritata finemente; questa miscela viene scaldata fino a 1.500 °C , per fonderla, poi viene stesa su un piano e fatta raffreddare lentamente. Su una delle superfici della lastra viene di seguito steso uno strato d’argento o di alluminio con un procedimento particolare: il metallo viene spruzzato sotto vuoto, per aderire perfettamente al vetro senza alcuna imperfezione dovuta all’aria. Ora, perché parlare di specchi? Ebbene, potremmo considerare empatia e narcisismo due elementi degli “specchi”, ovvero delle relazioni, che ad oggi molti di noi si trovano a vivere nelle proprie attività e/o frequentazioni quotidiane. Tali specchi, spesso, ci rimandano immagini distorte di noi stessi, delle nostre rappresentazioni del nostro sé; altre volte, invece, immagini grandiose, ipertrofiche o insignificante delle nostre capacità o competenze. Una relazione improntata su questi parametri diviene, difatti, una relazione capace di manifestare le proprie componenti di rischio/pericolosità. Una relazione pericolosa, cioè capace di esplicitare quello specchio che portiamo dentro ognuno di noi: lo sguardo dell’Altro, in primis di quel totalmente Altro che, dalla nascita, incontriamo negli occhi dei nostri genitori o di chi si occupa di Noi durante i primi anni della nostra Vita.
Ma torniamo all’Empatia ed al Narcisismo. Come componenti dello “specchio” delle nostre relazioni quotidiane, queste componenti (nelle loro dosi più o meno adeguate al nostro ben-essere) possono diventare strumenti/lenti capaci di scrutare profondamente nell’animo (empatia) oppure osservare la forma che esso potrebbe acquisire se solo si accomodasse secondo i nostri desideri (narcisismo). Da qui la domanda posta nel titolo di questo scritto: noi da che parte stiamo di questo metaforico specchio? Siamo l’argento/alluminio spruzzato sulla superficie per renderla riflettente (narcisismo) oppure siamo il vetro che viene portato ad alte temperature per poi essere raffreddato lentamente (empatia)? Come sempre c’è una terza via, quella dell’equilibrio: impariamo ad essere entrambi, a porci dentro e fuori questo nostro specchio: la nostra vita in relazione gli uni con gli altri. Diventiamo Noi stessi lo Specchio: con le nostre azioni, la nostra Vita ci facciamo specchio per noi stessi e per tutti coloro che entrano in relazione con il nostro Sé.
Il mito di Narciso, d’altronde, ci racconta solo un lato della storia, quello patologico, quello rinchiuso in un loop dove il riflettere su sé stessi può portare addirittura all’auto-consunzione, così come un sistema chiuso paradossalmente si apre all’unica fine possibile: la morte termodinamica. Ci si perde nell’ammirare una immagine che si ritiene immortale e ci si ritrova a consumare se stessi, allontanandosi dal vissuto portato dall’infinita bellezza di un incontro nel momento presente, dell’impermanenza del momento che fu, dell’effimero imperscrutabile dell’attimo che ancora non è e potrebbe anche non essere mai, di quegli incontri che forse possono cambiarti l’esistenza e, inevitabilmente, essere anche qualcosa di quantisticamente reale e, allo stesso tempo, impossibili da comprendere pienamente, come: il suono di un albero che cade in una foresta, del battere di una sola mano o il destino del gatto di Schrödinger… una esperienza impercettibile, irripetibile eppure profondamente Vera.
Le relazioni, tutte, proprio per questo sono pericolose, perché tutte ci mettono davanti al pericolo di specchiarci in noi stessi e di guardare senza vederci, di scoprire senza svelarci, di innamorarci senza per questo raggiungere mai il senso di quell’amore. Comprendere quanto di quel vetro e quanto di quell’elemento riflettente è presente nelle nostre relazioni ed in quelle dei nostri clienti/pazienti (qualsiasi professione noi svolgiamo) può fare la differenza tra un successo o un fallimento, tra una gioia ed un dolore, tra una sofferenza ed un piacere che possiamo dare e/o ricevere dall’incontro con il nostro interlocutore.
a cura di Salvatore Rotondi