
L’art. 5, comma 4, del decreto ministeriale n. 585/1994 nel fissare la regola per cui, qualora l’avvocato abbia assisto più parti processuali nella medesima posizione il compenso complessivamente determinato deve essere diviso per tutte le posizioni processuali coinvolte, detta un principio generale applicabile anche al cliente.
Lo ha ribadito la Suprema Corte, sez. II Civile, con l’ordinanza n. 29651/18, depositata il 16 novembre 2018.
Il fatto. Un avvocato otteneva decreto ingiuntivo per il pagamento di oltre 15mila euro a titolo di competenze professionali svolte a favore del cliente ingiunto. Proposta opposizione, quest’ultimo otteneva la revoca del decreto ingiuntivo con condanna a pagare poco più di 500 euro, mentre all’avvocato veniva imposta la restituzione delle somme indebitamente percepite in forza del decreto opposto. In sede di gravame, la decisione veniva confermata con la sola rideterminazione della somma dovuta dal cliente.
L’avvocato ricorre dunque in Cassazione deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4, d.l. n. 585/1994 per aver la Corte territoriale errato nel dividere per i 33 assistiti l’importo a titolo di onorario calcolato secondo i parametri tabellari. Il ricorrente afferma infatti che tale norma trova applicazione solo nei rapporti di soccombenza e non in quelli tra professionista e cliente.
Liquidazione del compenso. Nel caso in cui l’avvocato assiste e difende più persone aventi la medesima posizione processuale, l’art. 5, comma 4, d.m. n. 585/1994 (ratione temporis applicabile al caso di specie) fissa il principio per cui deve essere determinato un unico onorario, aumentato come per legge per ogni parte (per ogni parte del 20% fino ad un massimo di dieci e, ove le parti siano in numero superiore, del 5% per ciascuna parte oltre le prime dieci e fino ad un massimo di venti), l’importo totale deve poi dividersi per tutte le posizioni processuali. Si tratta, precisa il Collegio, di un principio generale non riferito al solo soccombente ma anche al cliente. In altre parole, «in caso di identità di posizioni processuali, va liquidato un onorario unico e non tanti onorari quanti sono i clienti, applicandosi tale criterio anche in caso di riunione».
Tale conclusione è avvallata sia dalla costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. nn. 7015/17, 26614/16, 16153/10 e 1558/10), che dalla lettura testuale della norma analizzata dagli Ermellini che giungono dunque a rigettare il ricorso.