Anche in relazione al padre che si trovi in detenzione domiciliare “ordinaria” per esigenze di cura della prole, la maggiore severità del regime sanzionatorio previsto dalle norme sull’ordinamento penitenziario è priva di giustificazione. Per queste ultime, infatti, anche un breve ritardo rispetto alle prescrizioni che accompagnano la concessione della detenzione domiciliare, e quale che sia la ragione di esso, integra il reato di evasione.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 211, depositata il 22 novembre 2018.
La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, commi 1, lett. b), e 8, l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non limitano la punibilità del padre di prole di età inferiore ai dieci anni al solo allontanamento dal domicilio che si protragga per più di dodici ore.
Secondo il rimettente, la disciplina impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto l’allontanamento ingiustificato del padre ammesso alla detenzione domiciliare “ordinaria” per prendersi cura dei figli sarebbe regolato in modo deteriore rispetto a quello del padre ammesso alla diversa misura della detenzione domiciliare “speciale” in caso di decesso o impossibilità assoluta della madre. Infatti, in tale seconda ipotesi, l’allontanamento dal domicilio, senza giustificato motivo, integra il reato di evasione di cui all’art. 385 cod. pen. solo se si protrae per più di dodici ore.
Il giudice a quo evidenzia, in particolare, come la Corte Costituzionale abbia già dichiarato costituzionalmente illegittime le disposizioni censurate, nella parte in cui punivano più severamente l’allontanamento dal domicilio della madre di minore di dieci anni ammessa alla detenzione domiciliare “ordinaria”, rispetto a quello della madre in detenzione domiciliare “speciale”.
La Consulta ha già avuto modo di evidenziare l’identica finalità perseguita dal legislatore attraverso la regolamentazione delle due forme di detenzione domiciliare, quella “ordinaria”, quando concessa ai genitori di prole di età inferiore ai dieci anni con loro conviventi, e quella “speciale”.
Ed infatti, pur applicabili sulla base di diversi presupposti – la detenzione domiciliare “ordinaria” può essere disposta laddove la pena da espiare non sia superiore a quattro anni, mentre quella “speciale” riguarda detenuti che debbano scontare una pena maggiore e purché non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – entrambe le misure sono primariamente indirizzate a consentire la cura dei figli minori, al contempo evitando l’ingresso in carcere dei minori in tenera età (Corte Cost., n. 76/2017, n. 239/2014 e n. 177/2009).
A differenza di quella ordinaria, solo la detenzione domiciliare speciale – istituto più recente, previsto dalla l. n. 40/2001, recante “Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori” – è interamente ed esclusivamente diretta ai genitori di minori in tenera età ed è accompagnata da una disciplina più flessibile in caso di ritardo nel rientro nel domicilio, proprio per venire incontro ai contingenti e imprevisti bisogni derivanti dalla cura dei bambini (Corte Cost., n. 177/2009). Infatti, incorre nel reato di evasione, di cui all’art. 385, comma 1, c.p., la condannata ammessa al regime della detenzione domiciliare speciale che rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per più di dodici ore. Per assenze di durata inferiore, è prevista, invece, che possa essere proposta la revoca della misura: escluso ogni automatismo, viene lasciato al giudice il compito di esaminare caso per caso, attribuendo il giusto peso all’interesse del minore, l’opportunità di sanzionare con la revoca comportamenti della condannata non giustificabili dal punto di vista della doverosa osservanza delle prescrizioni che accompagnano il regime della detenzione domiciliare.
Il legislatore, peraltro, ha escluso in radice qualunque disparità di trattamento tra madre e padre in ordine al regime dell’allontanamento senza giustificato motivo dal domicilio, prevedendo esplicitamente (art. 47-sexies, comma 4, ordin. penit.) che il regime più tollerante si applica anche al padre detenuto, qualora la detenzione domiciliare speciale sia stata concessa a questo in luogo della madre.
Di contro, l’art. 47-ter, comma 8, ordin. penit., applicabile a tutte le categorie di detenuti ammessi alla detenzione domiciliare “ordinaria”, stabilisce semplicemente che il condannato che si allontana dalla propria abitazione è punito ai sensi dell’art. 385 c.p.: per questi casi, quindi, anche un breve ritardo rispetto alle prescrizioni che accompagnano la concessione della detenzione domiciliare “ordinaria” – e quale che sia la ragione di esso – integra il reato di evasione.
Investita di una questione relativa alla ragionevolezza di tale più severo trattamento sanzionatorio dell’allontanamento dal domicilio con riferimento ad una madre in detenzione domiciliare “ordinaria”, il giudice delle leggi, riconosciuta l’identica finalità perseguita dal legislatore attraverso le norme che regolano le due forme di detenzione domiciliare, ha sottolineato il paradosso che il trattamento più severo riguardasse madri che hanno da scontare pene inferiori ed ha, conseguentemente, affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1, lett. a), ordin. penit., nella parte in cui non prevede l’applicazione del trattamento più flessibile anche agli allontanamenti della madre in detenzione domiciliare “ordinaria” (Corte Cost. n. 177/2009).
Il medesimo ragionamento non può che essere esteso al raffronto del trattamento penale degli allontanamenti dal domicilio dei detenuti padri: a prescindere da ulteriori differenze in ordine ai presupposti per la concessione al padre della detenzione domiciliare “ordinaria” ovvero di quella speciale (irrilevanti in questa sede), una volta che questi sia ammesso ad una di tali misure, non può che essergli applicato il medesimo regime previsto per la madre.
Stante l’identica finalità dei due istituti relativi alla detenzione domiciliare, in quanto applicati a genitori con figli minori di dieci anni, la Consulta ribadisce come sia priva di giustificazione, anche in relazione al padre che si trovi in detenzione domiciliare “ordinaria” per esigenze di cura della prole, la maggiore severità del regime sanzionatorio previsto dalle disposizioni censurate. Per queste ultime, infatti, anche un breve ritardo rispetto alle prescrizioni che accompagnano la concessione della detenzione domiciliare, e quale che sia la ragione di esso, integra il reato di evasione. E la loro manifesta irragionevolezza emerge proprio al cospetto della duttilità della disciplina disegnata invece dal legislatore in riferimento alle assenze ingiustificate dei genitori ammessi alla detenzione domiciliare speciale, ai cui sensi solo l’assenza protratta oltre le dodici ore integra il reato di cui all’art. 385, comma 1, c.p..
Anche in questo caso, poi, la Corte sottolinea il paradosso che il trattamento più severo dell’allontanamento dal domicilio si applichi al genitore in detenzione domiciliare “ordinaria”, che ha da scontare una pena inferiore rispetto a quella inflitta a un padre ammesso alla detenzione domiciliare “speciale”. In definitiva, valgono per il padre ammesso alla detenzione domiciliare “ordinaria”, al fine di prendersi cura della prole in tenera età, le stesse esigenze naturalmente connesse alle attività rese indispensabili dalla cura dei bambini, come per il padre in detenzione domiciliare speciale. Tali esigenze possono, allo stesso modo, imporre l’allontanamento dal domicilio e risentono anch’esse, inevitabilmente, delle contingenze e degli imprevisti derivanti dal soddisfacimento dei bisogni dei minori, come, per esempio, la frequenza scolastica, le cure mediche, le attività ludiche e socializzanti (Corte Cost., n. 177/2009). Pertanto, è manifestamente irragionevole che anche agli allontanamenti dal domicilio del padre in tale condizione non si applichi il più flessibile regime previsto dall’art. 47-sexies, commi 2 e 4, ordin. penit..
La disciplina impugnata, pertanto, è costituzionalmente illegittima nella parte in cui non limita la punibilità, ai sensi dell’art. 385 c.p., al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, sul presupposto che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.
a cura di Manuela Palombi