RESPONSABILITA’ MEDICA – La violazione del diritto di autodeterminazione quale danno risarcibile


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Costituisce danno-conseguenza autonomamente risarcibile la lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione cagionata dalla violazione, da parte del medico, dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente, anche nel caso di interventi sanitari correttamente eseguiti.  È quanto ha pronunciato la Seconda Sezione Civile del Tribunale di Napoli con sentenza n. 8156/18, depositata il 24 settembre 2018.

Il caso. La signora G. conviene in giudizio il Dott. Prof. S.N. e le strutture sanitarie in cui il primo ha operato, al fine di ottenere la declaratoria di responsabilità contrattuale o aquiliana dei medesimi con riferimento a diversi interventi chirurgici, attese le lesioni subite, con conseguente restituzione degli importi erogati per le prestazioni ricevute e il risarcimento dei danni patiti. In particolare, l’attrice si sottoponeva ad un intervento di mastoplastica additiva nel maggio del 1988; nel febbraio del 1989, a seguito di inconvenienti all’apparto protesico mammario, l’attrice subiva un intervento di sostituzione della protesi; nel giugno del 1992, essendo insorte complicanze, si assisteva nuovamente ad altro intervento di sostituzione della protesi; nel settembre del 1999 l’attrice, accusando ancora problematiche sia estetiche che di salute, si sottoponeva ad un intervento di sostituzione protesica e mastopessi bilaterale; infine nell’aprile 1999, l’istante subiva un intervento di asportazione delle protesi mammarie. Il Tribunale di Napoli, risolte talune questioni preliminari sollevate dal convenuto S.N., accoglie la domanda attorea limitatamente alla lesione del diritto alla autodeterminazione che risulta essere stato leso dall’omessa informazione circa le eventuali complicazioni che sarebbero derivate dall’intervento chirurgico.

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Il valore del decreto di archiviazione nel processo civile. La prima questione preliminare che il Tribunale di Napoli risolve attiene all’eccezione sollevata dal convenuto S.N. circa l’inammissibilità ovvero l’improcedibilità della domanda attorea per l’intervenuto giudicato penale. A ben vedere, si tratta di un decreto di archiviazione emesso dal GIP del Tribunale di Roma in data 02/05/2006. Diversamente dalla sentenza, il provvedimento di archiviazione si caratterizza per l’assenza del processo, o meglio della fase dibattimentale, e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, né ad esso possono collegarsi gli effetti proprio della cosa giudicata. È orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello in guisa del quale la sentenza istruttoria di proscioglimento e il decreto di archiviazione adottati in sede penale non rivestono autorità di cosa giudicata nel giudizio civile promosso per le restituzioni ed il risarcimento del danno da reato, trattandosi di provvedimenti per i quali non si è verificata la condizione della pronuncia a seguito di dibattimento e che, perciò, non possono considerarsi irrevocabili (ex multis Cass. civ. n. 16768/2006 nello stesso senso). In altri termini, qualora in ordine al fatto generatore del danno sia intervenuto in sede penale un decreto di archiviazione, non sussiste in sede civile alcuna preclusione all’accertamento della responsabilità del soggetto convenuto.

Il termine di decorrenza della prescrizione previsto dall’art. 2935 c.c.. Altra importante questione preliminare affrontata concerne l’intervenuta prescrizione dei diritti azionati in giudizio dall’attrice: a tal proposito bisogna comprendere quale sia il dies a quo, tenuto conto che la prima lettera di messa in mora inoltrata dall’attrice risale al 15.12.1998 e che si tratta di un inadempimento contrattuale con conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione. L’art. 2935 c.c. sancisce che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, collegando la decorrenza del termine di prescrizione alla possibilità di far valere il diritto, rimanendo irrilevante l’eventuale impedimento di mero fatto, nonché gli impedimenti soggettivi derivanti dalla percettibilità ovvero conoscibilità del pericolo. Ebbene, in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso in cui l’azione illecita si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno: fintanto che il danno non si manifesta, il termine di prescrizione non inizia a decorrere, pertanto, nel caso di specie, il dies a quo di decorrenza della prescrizione deve coincidere con il momento in cui il danno si è prodotto nella sfera giuridica dell’attrice: pur avendo quest’ultima dichiarato di aver avvertito nel breve termine dei disturbi va altresì valutato che, a fronte delle rassicurazioni effettuate dal convenuto dott. S.N., la possibilità che vi erano state delle complicanze operatorie può reputarsi insorta quando la stessa attrice, su indicazione del sanitario, si sottopose al secondo intervento nel febbraio del 1989, con conseguente valore pienamente interruttivo della prescrizione attribuibile alla lettera di messa in mora.

La prevedibilità dell’esito infausto di un intervento chirurgico correttamente eseguito. La questione di merito affrontata attiene alla colpa medica addebitabile al sanitario e al conseguente risarcimento del danno. Quando nel corso dell’esecuzione di un intervento o durante la fase successiva si verifica un aggravamento delle condizioni del paziente, due sono le possibili soluzioni: o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, oppure tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile, ed in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile”. In concreto, bisogna quindi verificare se l’evento verificatosi integri o meno gli estremi della causa non imputabile. Nel caso di specie, i consulenti tecnici d’ufficio hanno escluso le responsabilità del sanitario affermando che quanto subito dalla signora G. rappresenta una complicanza prevedibile non riconducibili ad errori intervenuti nella fase operatoria e/o post operatoria, né le scelte del medico risultano essere censurabili. Gli ausiliari del giudice condividono, infatti, le valutazioni effettuate dal convenuto sia per quanto concerne l’intervento in sé, sia per la gestione del decorso post operatorio. In definitiva, quanto accaduto all’attrice, non sarebbe altro che una complicanza frequente, prevedibile e comunemente verificabile per quel genere di interventi chirurgici, ma che, tuttavia, il sanitario aveva l’obbligo di comunicare alla paziente. Tale comunicazione, nel caso di specie, non è avvenuta.

Il diritto di autodeterminazione e il consenso informato. Ai sensi dell’art. 32 Cost., nessun trattamento sanitario può essere compiuto o proseguito senza un consenso manifestato dal soggetto interessato, salvo quanto previsto da apposite disposizioni di legge (è il caso del T.S.O., ossia del trattamento sanitario obbligatorio). Tale principio trova conferma e specificazione nell’art. 33 l. n. 833/ 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che stabilisce che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono volontari, e quelli previsti come obbligatori dalla legge devono comunque rispettare la dignità della persona. Infine, è d’uopo effettuare altresì un riferimento alla Convenzione di Oviedo (Convenzione sul diritti dell’uomo e la biomedicina) adottata a Nizza nel 2000 e ratificata dall’Italia con l. n. 145/2001, dove si legge che il consenso libero ed informato del paziente deve essere considerato quale un vero e proprio diritto fondamentale del cittadino europeo, che riguarda il più generale diritto alla integrità della persona.
Tra le diverse condizione di validità del consenso al trattamento sanitario, la prima e più importante è sicuramente rappresentata dalla corretta informazione che deve essere fornita dal medico al paziente. Tale informazione riguarda non solo il trattamento sanitario da effettuarsi, ma altresì gli eventuali rischi ad esso connessi nonché le eventuali alternative possibili. Solo in questo modo, infatti, la persona è in grado di costruire un proprio parere libero (e quindi revocabile) e consapevole e, dunque, di scegliere se sottoporsi o meno al trattamento. La violazione dell’obbligo di informativa al paziente è ritenuta fonte di risarcimento del danno in quanto il soggetto è leso nella libertà di autodeterminazione delle proprie scelte esistenziali e questo anche nel caso in cui la prestazione sanitaria sia stata eseguita correttamente e senza errori. Il diritto di autodeterminazione ha infatti valore costituzionale essendo ricompreso nell’alveo dei diritti della personalità di cui all’art. 2 Cost. e per la sua violazione è previsto un risarcimento autonomo e distinto rispetto all’eventuale danno alla salute cagionato da errore medico. Nel caso di specie, pur mancando la prova che l’attrice, se correttamente informata, avrebbe rifiutato di sottoporsi al trattamento sanitario, non vi è nemmeno la prova di un consenso informato dettagliato su tutto ciò che sarebbe potuto accadere a seguito dell’intervento di mastoplastica. Sussiste, quindi, una violazione autonoma del diritto di autodeterminazione risarcibile indipendentemente dall’esistenza o meno di un errore medico. È per tali ragioni che il giudice del merito accoglie la domanda attorea esclusivamente sotto tale profilo, non vantando, invece, alcun diritto alla restituzione dei compensi erogati per prestazioni che sono state correttamente eseguite.

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