La Corte Costituzionale ha escluso la valenza anagrafica del cognome comune scelto dalle parti dell’unione civile. Di conseguenza viene escluso ogni dubbio di costituzionalità della norma secondo cui, presso gli uffici dello stato civile, permane il cognome precedente all’unione.
Con la sentenza n. 212/18, depositata il 22 novembre 2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Ravenna in relazione agli artt. artt. 3, lett. c), n. 2), e 8 d.lgs. n. 5/2017, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili».
In particolare, risulterebbero violati gli artt. 2, 3, 11, 22, 76 e 117, comma 1, Cost. in quanto l’art. 3, lett. c), n. 2), prevede che le schede anagrafiche delle parti dell’unione civile siano intestate al cognome precedente, mentre secondo l’art. 8 «[…] l’ufficiale dello stato civile, con la procedura di correzione di cui all’art. 98, comma 1, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, annulla l’annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata a norma dell’art. 4, comma 2, d.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144». Secondo il giudice a quo entrambe le disposizioni «violerebbero, in primo luogo, l’art. 2 Cost., poiché la parte dell’unione civile verrebbe privata, d’ufficio e senza contraddittorio, del cognome comune legittimamente acquisito e utilizzato, così determinando la lesione dei diritti al nome, all’identità e alla dignità personale».
La censura relativa all’art. 3, lett. c), n. 2, d.lgs. n. 5/2017 risulta infondata in quanto, precisa il Giudice delle leggi, «il legislatore delegato ha escluso la valenza anagrafica del cognome comune scelto dalle parti dell’unione civile. Ferma restando la facoltà di scegliere ed utilizzare tale cognome comune per la durata dell’unione, viene espressamente esclusa la necessità di modificare la scheda anagrafica individuale, la quale resta, pertanto, intestata alla stessa parte con il cognome posseduto prima della costituzione dell’unione». Precisa infatti la sentenza in oggetto che l’aggiornamento della scheda anagrafica «avrebbe comportato che qualsiasi successiva certificazione anagrafica sarebbe stata rilasciata con il solo cognome modificato, con la conseguente necessità di aggiornare non solo i documenti di identità, ma anche i dati fiscali, lavorativi, sanitari e previdenziali».
In conclusione, il legislatore delegato ha in primo luogo escluso la valenza anagrafica del cognome comune, mentre con l’art. 8, e sempre al fine dell’adeguamento della disciplina dello stato civile, ha previsto la caducazione delle annotazioni effettuate medio tempore, in applicazione di una fonte normativa, provvisoria e di carattere secondario, non coerente con i principi della delega.
Escludendo dunque ogni dubbio circa la ragionevolezza della scelta legislativa, anche in relazione all’art. 117, comma 1, Cost. e ai principi sanciti dalla CEDU, la Corte dichiara in parte inammissibili ed in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate.
a cura di Manuela Palombi