La nullità del licenziamento a causa matrimonio, prevista dall’art. 35 d.lgs. n. 198/2006, è limitata alla sola “lavoratrice”, senza che ciò possa essere considerato illegittimo o discriminatorio: la norma infatti risponde ad una diversità di trattamento giustificata da ragioni legate alla maternità, costituzionalmente garantita alla donna, la quale, pur essendo titolare degli stessi diritti dei lavoratori uomini, adempie ad un’ essenziale funzione familiare, soprattutto nel periodo della gravidanza e del puerperio. Questa la linea tracciata dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 28926/2018, depositata il 12 novembre 2018.
Un anniversario di matrimonio poco felice…Un lavoratore (uomo) impugnava il licenziamento intimatogli a meno di un anno dalla data delle pubblicazioni di matrimonio, ritenendolo discriminatorio e quindi nullo ai sensi dell’art. 35 d.lgs. n. 198/2006. Tale norma infatti presume che siano comminati “a causa del matrimonio” e siano quindi nulli perché discriminatori, i licenziamenti intervenuti nell’anno seguente la richiesta di pubblicazioni del matrimonio, seguita dalla celebrazione. Secondo il lavoratore, il fatto che detta previsione di nullità sia inserita nel codice di pari opportunità la renderebbe applicabile sia agli uomini che alle donne. La Corte di Cassazione non avalla la tesi del lavoratore, specificando che la nullità del licenziamento “per causa matrimonio” è un’ipotesi riservata alle sole donne, che meritano una specifica tutela in ragione del loro ruolo endofamiliare e, di conseguenza, del difficile bilanciamento tra vita privata e lavorativa.
La genesi delle norme a tutela delle donne, madri, lavoratrici… Secondo la Suprema Corte, il fatto che la norma sulla nullità del licenziamento “causa matrimonio” sia inserita nel codice delle pari opportunità, non significa che sia estensibile anche agli uomini ma, al contrario, che essa debba essere letta come approdo alla tutela costituzionale assicurata alla lavoratrice donna. Con la sentenza in commento, gli ermellini non si “nascondono dietro un dito” e guardano alla realtà dei fatti, evidenziando che il licenziamento comminato nel periodo immediatamente successivo al matrimonio colpisce soprattutto le donne, alle quali vuole essere impedito di assentarsi dal lavoro nel periodo della gravidanza e del puerperio. Lo scopo (malcelato) del licenziamento per “causa matrimonio” non sono quindi le nozze di per se stesse, ma il timore di una prolungata assenza della lavoratrice madre. La questione è annosa, già la l. n. 7/1963 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 27/1969 miravano a bilanciare l’ interesse della lavoratrice a conservare il posto anche a seguito di matrimonio e gravidanza e l’interesse del datore di lavoro a mantenere un’efficace e produttiva organizzazione del lavoro. In questo contesto quindi la tutela accordata alle lavoratrici risponde a molteplici interessi, costituzionalmente garantiti: la libertà di contrarre matrimonio (art. 2), la rimozione degli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana (art. 3), la libertà di formare una famiglia e, quindi, la libertà di diventare sposa e madre (artt. 31 e 37). L’art. 37 della Costituzione, in particolare, non si limita a tutelare la gravidanza sotto l’aspetto della salute della mamma e del bambino, ma investe tutto il rapporto madre –figlio che deve essere protetto affinché la maternità non si traduca – come troppo spesso accade – in un impedimento all’effettiva parità tra uomo e donna e tra lavoratore e lavoratrice.
È il ruolo della donna (nella famiglia) a giustificare una maggior tutela. Si tratta quindi di riconoscere, senza preconcetti, il ruolo della lavoratrice madre all’interno della famiglia senza che ciò contrasti col principio di non discriminazione su base di genere. Ciò detto non può essere rilevato alcun contrasto con l’art.3 Cost., né con la normativa antidiscriminatoria europea, in particolare con l’artt. 23 e 33 CEDU, secondo il cui combinato disposto: il principio di parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici al sesso sottorappresentato, pertanto, al fine di poter conciliare vita familiare e professionale, ogni persona ha diritto ad essere tutelata contro un licenziamento legato a ragioni di maternità o adozione di un figlio. La nullità del licenziamento “per causa matrimonio” di cui all’art. 35 del d.lgs. 198/2006 si applica quindi alle sole lavoratrici che, dopo il matrimonio, loro malgrado, fanno temere al proprio datore di lavoro, importanti assenze per gravidanza e puerperio; in questo caso quindi la discriminatorietà dell’atto espulsivo si presume ex lege; ciò tuttavia non esclude che il licenziamento intimato al lavoratore, uomo, entro l’anno dalla richiesta delle pubblicazioni possa celare anch’esso un intento discriminatorio, in tal caso però non opera la presunzione, ma l’intendo discriminatorio del datore di lavoro andrà sostenuto e provato, senza inversione dell’onere.