Il dipendente dell’istituto di credito deve dire addio al proprio posto di lavoro. Evidente la gravità dei comportamenti da lui tenuti. Irrilevante il richiamo alla sua dipendenza dal gioco d’azzardo. La ludopatia non può rendere meno grave il comportamento del lavoratore che sottrae soldi all’azienda. E questo principio vale a maggior ragione quando – come nella vicenda approdata in Cassazione – la dipendenza dal gioco d’azzardo è solo moderata.
Legittimo perciò il licenziamento di un cassiere di una banca, beccato ad appropriarsi a più riprese di denaro (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 31483/18, depositata il 5.12.2018).
Ricostruiti nei dettagli i comportamenti fraudolenti addebitati al cassiere di una banca. Secondo l’istituto di credito, egli, approfittando del proprio ruolo, si è reso protagonista a più riprese di «appropriazioni di somme di denaro», e così ha reso impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. Questa visione è ritenuta corretta dai giudici, che, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, respingono le obiezioni mosse dal lavoratore, obiezioni centrate soprattutto sulla sua presunta «ludopatia». Su questo fronte, in particolare, i Giudici di secondo grado osservano che è stata riscontrata «soltanto una ludopatia moderata», non sufficiente, quindi, a «compromettere la capacità di intendere e di volere del cassiere», che, invece, aveva comunque «un’apprezzabile capacità di controllo». Non a caso, «la condotta appropriativa veniva posta in essere», osservano i giudici, «in occasione di favorevoli condizioni ambientali». In sostanza, «il lavoratore non era soggetto ad alcun impulso ingestibile» e «operava nella piena consapevolezza del disvalore del suo comportamento e sulla base di una valutazione razionale (“posso farlo perché nessuno mi vede”», concludono i giudici d’Appello.
Inutile si rivela il ricorso in Cassazione proposto dal legale del lavoratore. Anche i giudici della Corte, difatti, ritengono legittimo il licenziamento deciso dalla banca. Respinta anche in terzo grado la linea difensiva secondo cui il cassiere avrebbe sottratto il denaro solo a causa della ludopatia. Ciò alla luce della valutazione – corretta, secondo i Giudici della Cassazione – secondo cui va escluso il nesso tra «la dedotta ludopatia (moderata)» lamentata dal lavoratore e «la condotta consistita in ammanchi di cassa». Impossibile, quindi, parlare anche di «incapacità di intendere e di volere» per il lavoratore, che, osservano i giudici, ha «compiuto le condotte addebitategli nei momenti in cui sapeva di non essere visto o controllato dai colleghi».