Lo ha precisato la Consulta, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 24, comma 1, e 25, comma 1, d.P.R. n. 313/2002 nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal d.lgs. n. 122/2018 nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato e della sentenza che dichiara l’estinzione del reato.
Con la sentenza n. 231/18, depositata il 7 dicembre 2018, la Consulta si è pronunciata sui giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2, 24 e 25 d.P.R. n. 313/2002, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (Testo A)», promossi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Firenze, dal Tribunale ordinario di Palermo e dal Tribunale ordinario di Genova.
Con motivazioni analoghe, i giudici di merito hanno censurato le summenzionate disposizioni nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale, chiesti dall’interessato, non siano riportate le ordinanze di sospensione del processo emesse ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p. e le sentenze di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova ex art. 464-septies c.p.p..
La Corte dà in primo luogo atto del sopravvenuto d.lgs. n. 122/2018 con cui il Governo ha modificato anche le disposizioni in esame. L’art. 1, comma 1 esplicita infatti l’obbligo di trascrivere nel casellario giudiziale, oltre alle ordinanze che sospendono il processo e concedono la messa alla prova ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p., anche le sentenze che dichiarano estinto il reato in seguito all’esito positivo della messa alla prova. Inoltre il decreto fa confluire in un unico documento i certificati generale e penale del casellario giudiziale, rilasciati a richiesta dell’interessato, previsti dalla previgente normativa ed esclude la menzione in tale certificato unico di entrambi i provvedimenti concernenti la messa alla prova. Ciò posto, la questione sollevata merita comunque di essere risolta posto che le nuove disposizioni acquisteranno efficacia decorso un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Escludendo l’opzione interpretativa che fa leva sull’estensione analogica ai provvedimenti sulla messa in prova della previsione della non menzione nei certificati del casellario giudiziale dei reati estinti per decorso del periodo di sospensione condizionale della pena, la Consulta osserva che «l’implicito obbligo di includere i provvedimenti relativi alla messa alla prova nei certificati del casellario richiesti da privati finisca per risolversi in un trattamento deteriore dei soggetti che beneficiano di questi provvedimenti, orientati anche a una finalità deflattiva con correlativi risvolti premiali per l’imputato, rispetto a coloro che – aderendo o non opponendosi ad altri procedimenti, come il patteggiamento o il decreto penale di condanna, ispirati essi pure alla medesima finalità – beneficiano già oggi della non menzione dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti dai privati». Risulta in particolare irragionevole che il beneficio della non menzione venga riconosciuto ex lege al caso del patteggiamento e non della messa alla prova, istituti che condividono il fine di assicurare all’imputato un trattamento processuale più vantaggioso.
In riferimento all’art. 27 Cost., la sentenza precisa che la sospensione del procedimento con messa alla prova costituisce «istituto che persegue scopi specialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto (Cass. SS.UU. n. 36272/16). In tale ottica, l’istituto – al quale va riconosciuta una dimensione processuale e, assieme, sostanziale – costituisce parte integrante del sistema sanzionatorio penale, condividendo con il patteggiamento la base consensuale del procedimento e del trattamento che ne consegue (così, ancora, la sentenza n. 91/18). L’istituto non può, pertanto, che essere attratto dal finalismo rieducativo, che l’art. 27, comma 3, Cost. ascrive all’intero sistema sanzionatorio penale». E la menzione dei provvedimenti relativi alla messa alla prova nei certificati richiesti dai privati contraddice tale obiettivo, costituzionalmente imposto. Anzi, «la menzione relativa risulta suscettibile di risolversi in un ostacolo al reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso con successo, la messa alla prova, creandogli – in particolare – più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative, senza che ciò possa ritenersi giustificato da ragioni plausibili di tutela di controinteressi costituzionalmente rilevanti».
Per questi motivi, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 24, comma 1, e 25, comma 1, d.P.R. n. 313/2002 nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal d.lgs. n. 122/2018 nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p. e della sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464-septies c.p.p.. Dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, d.P.R. n. 313/2002, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. e delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24, comma 1, e 25, comma 1 sollevate in riferimento all’art. 3 Cost..
a cura di Alessandro Gargiulo