Il dipendente che agisce nei confronti del proprio datore, a fronte di un infortunio sul lavoro, deve fornire l’allegazione dell’inadempimento datoriale «qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno», ossia rappresentativo di una condotta contraria ai doveri di sicurezza imposti ex lege.
Così, la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 32714/18, depositata il 18 dicembre 2018.
Durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, un dipendente subiva una folgorazione: situazione che portava il danneggiato a rivolgersi al Tribunale per ottenere il risarcimento dei danni. La Corte d’Appello, confermando la pronuncia di primo grado, respingeva la domanda. In particolare, i Giudici del II grado rilevano che il tenore testuale del ricorso introduttivo del giudizio verteva su una generica domanda di risarcimento del danno contrattuale, domanda che tuttavia doveva ritenersi prescritta, mentre l’indicazione, nel verbale di prima udienza, dell’intenzione di proporre altresì una domanda di risarcimento per responsabilità extracontrattuale era irrilevante poiché si trattava di mutatio libelli, e comunque mancava l’autorizzazione del giudice ex art. 420 , comma 1, c.p.c. (Udienza di discussione della causa) e la controparte aveva rifiutato il contradditorio. Il lavoratore ricorre in Cassazione lamentando la violazione degli artt. 112 c.p.c. e 2043 c.p..
La S.C. sottolinea che, in riferimento alla domanda di risarcimento del danno contrattuale, l’allegazione del «lavoratore-creditore» non debba attenere ad un inadempimento generico bensì a un inadempimento «qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno». Infatti la medesima Corte precisa che «il lavoratore che agisce nei confronti del proprio datore di lavoro (debitore di un obbligo di sicurezza), deve fornire una descrizione del fatto materiale che consenta di evincere una condotta del datore contraria o a misure di sicurezza espressamente imposte da una disposizione normativa o a misure di sicurezza che, sebbene non individuate specificatamente da una norma, siano comunque rinvenibili nel sistema dell’art. 2087 c.c.».
In secondo luogo, la medesima Corte ribadisce inoltre che la responsabilità extracontrattuale «introduce nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, idoneo ad alterare l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza». Per tali ragioni, la Corte ha rigettato il ricorso.
a cura di Alessandro Gargiulo