In materia di imposte dirette, il presupposto per l’applicazione dell’IRAP è l’esercizio “abituale” di un’attività organizzata volta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.
Sul tema la Sezione tributaria della Corte di Cassazione con ordinanza n. 719/19, depositata il 15 gennaio 2019.
Un avvocato presentava all’ufficio territorialmente competente dell’Agenzia delle Entrate, senza ottenere in cambio esito positivo, una richiesta per ottenere il rimborso dell’IRAP versata per diversi anni di imposta. In particolare per l’avvocato non era dovuto il suo versamento IRAP poiché la sua attività professionale era svolta individualmente con pochi mezzi e strutture limitate.
Dopo il rigetto del ricorso dell’avvocato in primo e secondo grado, questi decide di ricorrere per cassazione denunciando che la Commissione Tributaria aveva omesso di esaminare la documentazione allegata da cui emergeva che i soggetti terzi cui aveva egli erogato compensi non erano suoi collaboratori abituali, ma professionisti occasionali.
Al riguardo, secondo quanto disposto dall’art. 2 d.lgs. n. 446/1997, presupposto per l’applicazione dell’IRAP è l’esercizio abituale di un’attività organizzata volta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi. Questo ricorre ogniqualvolta il contribuente sia il responsabile dell’organizzazione, impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile ovvero si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Ebbene nel caso di specie tali requisiti sembrano non esserci; per tale motivo, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell’avvocato, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla CTR in diversa composizione, per nuovo esame.
a cura di Alessandro Gargiulo