Qualcuno hai mai fatto l’esperienza di stare in fila per ricevere un qualunque tipo di servizio? Personalmente la mia infanzia è piena di tali ricordi; ho fatto la fila quasi per qualunque cosa: bollettini postali, certificati misti, tasse, autobus, finanche per il pane (anche se non sono così vecchio da ricordarmi l’epoca del ventennio e dell’ultima guerra mondiale). Mi ritengo comunque una persona fortunata; ho difatti fatto l’esperienza della fine delle file per qualunque cosa e dell’avvento tecnologico della “prenotazione”. Oggi, nel mezzo del cammin della mia vita (ho quarantadue anni), vivo la fantastica epoca delle app di prenotazione: clicchi e prima o poi verrà un raider pronto a fare quello che desideri oppure a portarti ciò che hai ordinato.
Insomma, da bambino vedevo gente in fila occupata a farsi i fatti degli altri, leggere un giornale/un libro, cercare di compilare in piedi un bollettino o utilizzando il sottoscritto come segnaposto (per non perdere il turno) mentre oggi nel pieno della mia adultità vedo gente seduta con un bigliettino in mano che aspetta la propria ora mentre ordina già qualcosa o legge qualche fake sul proprio telefonino.
Vabbè, il solito articolo nostalgico? Si viveva meglio quando si viveva peggio? Ovviamente…niente di tutto questo. Questa rubrica, infatti, si chiama “relazioni pericolose” e, proprio per questo, oramai è indubitabile che abbiamo quasi una totale paura rispetto al riflettere sul modo con il quale allacciamo nuove o gestiamo vecchie relazioni.
Nulla si crea e Tutto si trasforma… gattopardianamente per non cambiare mai nulla? No, non lo credo. I modi con i quali guardiamo il mondo cambiano il mondo stesso, per non dire che lo creano. Pertanto, quest’anno vorrei iniziare parlandovi di quello che diamo quasi per scontato, una specie di “Siamo uomini o caporali”? Nel caso specifico: partecipiamo ad aggregati oppure a gruppi umani? E come vi partecipiamo, come persone o come individui?

Cerchiamo allora prima di tutto di definire cosa intendiamo quando parliamo di persona e quando di individuo. Tale termine proviene probabilmente dall’etrusco phersu (‘maschera dell’attore’, ‘personaggio’) e dal greco πρóσωπον [prósôpon]; filosoficamente voleva indicare la singolarità di un essere umano rispetto al concetto di “natura umana” che, invece, voleva indicarne la comunanza di specie. In senso più ampio, comunque, il concetto di persona intende indicare, in particolare, una soggettività (nei suoi aspetti psico-fisici e materialistici) oggetto di considerazione o di determinazione nell’ambito delle funzioni e dei rapporti della vita sociale.
Il termine individuo, invece, nasce nel XIV secolo dal latino individŭus, ovvero ‘indivisibile’. Si intende, cioè fare riferimento ad un singolo ente, distinto da altri della stessa specie e dotato di caratteri strumentali e funzionali che ne definiscono e garantiscono l’unicità; pertanto, un essere vivente o non fondamentalmente unico, in quanto singolo o in quanto particolare, che nell’ambito dell’umano individua ciascun elemento primo della collettività, specialmente dal punto di vista sociologico o statistico.
Persona e Individuo, quindi, sembrano termini diversi quando gli stessi fanno riferimento ad enti che risultano in relazione con altri oppure enti presi in sé, secondo la propria natura “indivisibile”, ontologica, cioè secondo la propria natura più intima, secondo quello che in psicologia chiamiamo con il termine “Vero Sé” e che in filosofia Kant indicò con il termine “Cosa in Sé”.
È pertanto diverso partecipare alla vita umana come persona e/o come individui? Beh, ci vengono in aiuto i termini di aggregato e di gruppo. Il termine aggregato, così come il verbo aggregare, deriva infatti dal greco «unire al gregge», ovvero unire insieme, associare, ammettere a far parte di un qualcosa, di un entità complessa, intesa quest’ultima come un insieme parziale di elementi individuali al fine di evidenziarne la natura globale ed un eventuale fine ultimo di esistenza non ancora definito e compreso ma sicuramente agito. Un gruppo, invece, può essere inteso come un insieme individuato da una propria configurazione o fisionomia, volto al raggiungimento di un fine ultimo che da senso alla sua esistenza. Secondo Wilfred Bion, poi, i gruppi possono vivere ed esprimersi contemporaneamente in due modi: in assunto di base (replicando cioè quello che accade all’interno della psico-fisiologia del singolo ente umano) o in modalità di lavoro (indicando, con tale modalità, la capacità dei gruppi di esprimere processi mentali complessi al pari di quelli espressi dai lobi frontali di un essere umano).

Ad oggi possiamo dire di aver smarrito la via del gruppo per attestarci sulla via dell’aggregato, sempre in attesa del proprio “turno” da brava “persona”, sempre meno protagonista e meno individuo capace di andare e stare in gruppo. Forse dobbiamo semplicemente recuperare e dare risposta ad una domanda già citata: vogliamo essere uomini (gruppi, individui) oppure caporali (aggregati, persone)? Io, attualmente, vado in cerca del Gruppo, così come qualcuno prima di me andava alla ricerca dell’Uomo.
a cura di Salvatore Rotondi