Respinte in Cassazione le obiezioni proposte dal marito costretto anche ad onerarsi del mantenimento a favore della consorte che aveva “abbandonato”la casa coniugale. Considerati giustificati i “no” della moglie alla possibilità di rapporti intimi col marito: il rifiuto, pertanto, posto dalla donna nel congiungersi con il marito non può essere considerato elemento sufficiente per addebitare alla moglie la separazione della coppia.
Decisiva la constatazione che i “no” della donna erano dovuti a una malattia e all’atmosfera opprimente creata in casa dal coniuge (Cassazione, ordinanza n. 4653/19, sez. VI Civile – 1, depositata il 15 febbraio).
Ufficializzata la rottura tra moglie e marito, i Giudici respingono, prima in Tribunale e poi in appello, l’ipotesi che la crisi sia stata provocata dalla decisione della donna di «non avere rapporti intimi» col coniuge. In aggiunta poi viene sancito l’obbligo dell’uomo di versare alla consorte «un assegno mensile di mantenimento di 700 euro».
Inevitabile la reazione dell’uomo, che decide di proporre ricorso in Cassazione. Scelta inutile, però, poiché i Giudici del Palazzaccio ritengono non plausibili le sue obiezioni.
Più precisamente, viene evidenziato che la moglie ha sì «abbandonato la casa coniugale» ma a causa del «clima di tensione esistente da anni nei rapporti con il marito». E in questa ottica si colloca anche «il rifiuto della donna» alle richieste del coniuge di «avere rapporti intimi»: i “no” da lei opposti erano dovuti, osservano i giudici, «a una malattia» – come dimostrato da un «intervento alla vescica» – e «all’opprimente atmosfera instaurata a casa dal marito, atmosfera che certo non poteva agevolare una normale vita di coppia».
Per quanto concerne poi il nodo economico, viene ritenuta decisiva «la notevole sproporzione tra i redditi del marito e quelli della moglie»: evidente, in sostanza, la posizione di forza dell’uomo, mentre la donna «lavorava solo saltuariamente».
a cura di Alessandro Gargiulo