Il termine coppia, per il pensiero comune, indica solitamente un insieme di due oggetti o persone che si trovano in una qualche stretta relazione. Pertanto, quando parliamo di coppia in ambito psicologico ne parliamo tendendo a sottolinearne come in essa si celi la nostra qualità più umana: il nostro Essere entità profondamente relazionali e soprattutto dinamiche.

Personalmente, quando penso al concetto di coppia mi sovviene subito il mito delle metà raccontato da Aristofane nel Simposio di Platone (Simposio, 1979). Aristofane racconta il mito facendo una fondamentale premessa: racconterà della potenza dell’amore e della natura umana. Secondo questo mito in antichità esistevano tre generi: il maschio, la femmina, l’ermafrodito. Questo terzo genere possedeva la forza del Sole (maschile), della Terra (femminile) e della Luna (genitalità); proprio quella forza convinse tali soggetti a tentare la scalata dell’Olimpo per combattere gli dei. A questo punto, Zeus ebbe una idea: rendere più debole la razza umana dividendola in due parti uguali e creando così tantissimi maschi e tantissime femmine. Gli esseri così creati, però, non erano capaci di generare nuova vita, nonostante cercassero instancabilmente di ricongiungersi, guidati dall’amore, per riformare l’antica unità, ritrovare il potere perduto e sostenersi a vicenda. Zeus, a questo punto, decise di permettere a questi esseri infelici di ricongiungersi attraverso la procreazione, scongiurando così la possibilità che l’umanità, nel tempo, potesse estinguersi. Nacque così, secondo il pensiero degli antichi greci, la Coppia.
Su queste basi, e lungo i secoli trascorsi dal dialogo platonico, il pensiero occidentale ha inteso indicare e descrivere con il termine coppia la relazione interpersonale tra due persone, per le quali esistano tra loro rapporti di confidenza, coinvolgimento e intimità emotiva, sentimentale e/o erotico-sessuale. Col tempo e anche a causa della complessificazione della nostra società, il termine coppia ha preso ad indicare anche rapporti particolari di tipo professionale o con una profonda valenza e importanza sociale.

Insomma, per essere sintetici: siamo circondati da coppie; siamo noi stessi in coppia con qualcosa o con qualcuno; vive nella nostra psiche una coppia di cui non sappiamo consapevolmente quasi nulla, tranne ciò che abbiamo esperito innanzi ed attraverso la vita dei nostri stessi genitori. Volendo prendere in prestito metaforicamente i termini della matematica della complessità: Noi siamo frattali di relazioni (cioè di coppia), ovvero coppie dentro coppie dentro altre coppie… all’infinito e forse anche oltre.
Pertanto, possiamo quasi arrivare a sconfessare quel pensiero che individua come cellula fondamentale della comunità umana la cosiddetta “famiglia naturale”: la vera cellula prima dell’organismo complesso chiamato comunità è la Coppia, qualsiasi forma essa prenda e dà qualunque vivente possa essere formata. In questo e solo da poco tempo l’ordinamento italiano (con la Legge n° 76 del 20 Maggio 2016) ha fatto un passo avanti, riconoscendo le cosiddette coppie di fatto o unioni civili, ovvero quelle forme di convivenza di coppia, basata su vincoli affettivi ed economici, alla quale la legge riconosce uno status giuridico analogo a quello conferito dal matrimonio. Ancora però molto bisogna fare in tal senso perché ciò che è stato realizzato non basta.

Ora mi viene in mente i giochi che fanno i bambini quando iniziano la loro vita sociale: i rituali messi in piedi per sancire le prime amicizie; il senso di perdita delle prime rotture; il migliore amico/a…potrei aggiungere, in un’ottica più statunitense, anche l’amico immaginario; sfortunatamente per me, io non ho fatto esperienza di questo tipo di “amicizia”, la mia famiglia è di origini operaie ed io sono stato sempre fin troppo impegnato nelle relazioni con l’Altro da me per impegnarmi in altre forme solitarie e compensatorie di relazione psichica.
Ad ogni modo, quanta tenerezza può giungere da quei ricordi e quanta attualità in questi argomenti; basti pensare al successo narrativo e televisivo de “L’amica geniale” (di Saverio Costanzo, 2018), tratto dalla serie di romanzi della napoletana Elena Ferrante (2017). Romanzi e serie televisiva di Successo ed ora sappiamo anche il perché: siamo esseri relazionali, siamo esseri individuali capaci di vivere sono il Coppia.
Eppure, nonostante tutto questo, c’è chi ancora vive la propria Coppia come una Prigione da cui non si può o, addirittura, non si vuole fuggire. Perché ciò accade? Una spiegazione può trovarsi nella esasperazione del personalismo della nostra attuale società di impronta prettamente occidentale. Perdersi nelle maschere personali e sociali, nella propria e creduta immutabile personalità, crea i presupposti per l’isolamento dalle relazioni significative che, inevitabilmente, portano alla conoscenza del Sé ed al nostro più radicale cambiamento evolutivo. Tale prigionifico isolamento ci è insopportabile e per renderlo accettabile siamo così costretti (o ci costringiamo) a proiettarlo nelle relazioni (quindi nella coppia/e) che viviamo quotidianamente.
Ma la Coppia, quando vissuta pienamente e in verità, è allora libertà di esistere? Io penso e spero di sì, ma solo quando impareremo che, al di là delle forme che la Coppia assume nelle nostre vite, essa non è mai possesso, proprietà di qualcuno, ma spaziotempo più o meno ampio in cui cogliere quell’afflato di unità dal quale prendere nuove energie, apprendere nuove esperienze, conoscere meglio sé stessi, per migliorare la vita di Tutti gli esseri viventi e cercare nuove strade per la nostra prosperità come specie che vive sulla nostra comune Madre Terra.
a cura di Salvatore Rotondi