La nullità per incapacità del teste è sanata quando la relativa eccezione non venga ritualmente e tempestivamente proposta immediatamente dopo che la prova è stata assunta e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni ex art. 189 c.p.c. (Corte di Cassazione, sez. VI Civile -3, ordinanza n. 7095/2019, depositata il 12.3.2019).
La Corte d’Appello di Trento confermava la decisione di prime cure di rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto di locazione per uso vacanze e della relativa domanda di risarcimento danni. L’inadempimento invocato dal conduttore era individuato nelle precarie condizioni igieniche e di manutenzione dell’appartamento ma secondo i Giudici di merito non sussisteva la gravità necessaria per riconoscere la risoluzione. Avverso la pronuncia, ricorre in Cassazione il soccombente.
La Suprema Corte affronta i primi due motivi di ricorso relativi alla ritenuta erronea valutazione della capacità del teste, che aveva agito quale rappresentante della locatrice, e ricorda che la deposizione testimoniale è affetta da nullità laddove sia stata resa da persona incapace, sempre che il vizio sia eccepito subito dopo l’espletamento della prova, anche quando l’incapacità sia stata eccepita prima dell’assunzione, «atteso che le disposizioni limitative della capacità dei testi a deporre, non costituendo norme di ordine pubblico, sono dettate nell’esclusivo interesse delle parti che possono pertanto del tutto legittimamente rinunciare anche tacitamente alla relativa eccezione, facendo acquiescenza al provvedimento di rigetto».
Precisa poi la Corte che l’eccezione di incapacità del teste ex art. 246 c.p.c. si distingue dall’eccezione di nullità della prova in virtù della differenza tra il rilievo preventivo inteso ad impedire il compimento dell’atto processuale di assunzione della prova e l’eccezione in senso stretto del vizio di nullità dell’atto già compiuto, diretta ad espungere dal materiale istruttorio la prova.
Tornando al caso di specie, risulta che l’eccezione di incapacità del teste era stata regolarmente formulata a verbale dell’udienza di escussione dello stesso ed era poi stata dedotta con la comparsa conclusionale e quindi riproposta come motivo d’appello. Sul punto, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che la nullità per incapacità del teste è sanata quando la relativa eccezione non venga ritualmente e tempestivamente proposta immediatamente dopo che la prova è stata assunta e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni ex art. 189 c.p.c.. Risulta dunque tardivo il rilievo effettuato solo con la comparsa conclusionale, tardività che può essere rilevata dal giudice di legittimità.
In conclusione, escludendo la possibilità di pronunciarsi sulla valutazione di gravità dell’inadempimento e sul rigetto dalla domanda risarcitoria, in vizi estranei al paradigma del vizio di legittimità sindacabile in Cassazione, gli Ermellini rigettano il ricorso.
a cura di Alessandro Gargiulo