È opportuno un intervento a Sezioni Unite della Corte di Cassazione per stabilire se sia configurabile un diritto soggettivo perfetto dei genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, eventualmente quale espressione di una libertà personale inviolabile, di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica e il pasto portato da casa o confezionato autonomamente e di consumarlo nei locali della scuola e comunque nell’orario destinato alla refezione scolastica, alla luce della normativa di settore e dei principi costituzionali, in tema di diritto all’istruzione, all’educazione dei figli e all’autodeterminazione individuale, in relazione alle scelte alimentari (Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza interlocutoria n. 6972/2019, depositata l’11.3.2019).
Nel 2014, un gruppo di genitori di alunni frequentanti le scuole comunali elementari e medie nel Comune di Torino, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale della città, il Comune stesso, nonché il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), affinché venisse accertato il proprio diritto di scegliere, per i propri figli, tra la refezione scolastica e il pasto domestico, portato da casa o confezionato autonomamente, chiedendo, in particolare, che quest’ultimo potesse essere consumato all’interno dei locali adibiti a mensa scolastica, nell’orario di refezione. Si chiedeva al Tribunale di ordinare al MIUR di impartire ai dirigenti scolastici le opportune disposizioni e, al Comune, di astenersi dal porre limiti e divieti che ostacolassero l’esercizio del suddetto diritto di scelta. Il giudice torinese rigettava le domande ritenendo non sussistente un diritto soggettivo quale quello azionato, non essendo configurabile né un diritto alla prestazione del servizio mensa con modalità diverse da quelle previste dalla normativa vigente ovvero di un servizio alternativo interno alle scuole per coloro che intendevano consumare il pasto domestico, né un diritto alla stessa istituzione del servizio mensa, essendo le famiglie libere di optare per il c.d. tempo breve o per quello pieno o prolungato. Impugnato il provvedimento di primo grado, la Corte di Appello di Torino, nel 2016, con sentenza, pur accogliendo parzialmente il ricorso, accertando il diritto dei genitori di scegliere, per i figli, tra la refezione scolastica e il pasto domestico da consumare nell’orario di refezione, si asteneva dal dettare le modalità pratiche per dare attuazione alla sentenza. Infatti, ad avviso della Corte, il diritto dei genitori non poteva risolversi nel consentire in maniera indiscriminata, agli alunni, di consumare il pasto domestico nei locali adibiti alla mensa scolastica, anche in considerazione degli aspetti igienico/sanitari. Avverso la decisione della Corte territoriale, il Comune di Torino proponeva ricorso per Cassazione in via principale, sulla base di cinque motivi. Il MIUR presentava ricorso in via incidentale, articolato in due motivi. I privati resistevano in giudizio con controricorso e memoria.
I Supremi giudici ritengono che le questioni evidenziate nei ricorsi siano di particolare importanza e che sarebbe opportuno un intervento delle Sezioni Unite.
La pretesa azionata dai genitori è di far accertare in giudizio il diritto, reputato inviolabile, alla c.d. autorefezione nell’orario e nei locali adibiti a mensa scolastica, ancorato agli artt. 34, 32, 35 e 3 Cost. Si osserva che se l’istruzione pubblica inferiore è obbligatoria e gratuita e comprende il diritto di fruire delle attività scolastiche che si svolgono nel pomeriggio, nel caso in cui si attivato il c.d. tempo pieno e/o prolungato e se il c.d. tempo mensa costituisce un momento importante di condivisione e di socializzazione che rientra nell’orario scolastico annuale, il c.d. tempo scuola, definito dalla legge, allora andrebbe riconosciuto, secondo questa tesi, anche il diritto degli alunni di portare cibi da casa e consumarli a scuola, senza costringerli ad usufruire del servizio di mensa scolastica da essa erogato, il quale, altrimenti, da facoltativo, attivabile a domanda individuale, diventerebbe obbligatorio. L’effetto sarebbe di costringere gli alunni a rinunciare ai contenuti educativi dell’offerta formativa scolastica connessa all’opzione tempo pieno/prolungato, con violazione anche del principio di gratuità dell’istruzione inferiore. Si assume anche la non coincidenza del “tempo mensa” con il servizio di mensa scolastica, al quale non si potrebbe attribuire alcuna funzione pedagogica, diversamente dal “tempo scuola” cui sarebbe invece inerente la libertà alimentare individuale, non attuabile efficacemente se si costringessero i genitori a prelevare i figli da scuola durante l’orario della mensa scolastica e a riaccompagnarli nel pomeriggio. A questa tesi si contrappone quella delle amministrazioni ricorrenti ad avviso delle quali, secondo la legislazione primaria vigente, nonché dei principi costituzionali, non è configurabile un diritto soggettivo degli alunni che optano per il tempo pieno di portare e consumare a scuola cibi propri, sottraendosi al servizio mensa offerto dalla scuola. Non potrebbe predicarsi l’esistenza di un obbligo dell’amministrazione di apprestare mezzi e risorse per consentire agli alunni che non si avvalgono del servizio mensa di consumare, nei locali della scuola, cibi non somministrati dal gestore del servizio di refezione scolastica.
a cura di Alessandro Gargiulo