Volendo dare un origine al processo di coscienza di sé, o consapevolezza umana, potremmo facilmente sostenere che: “Tutto inizia con il Mito”. Ebbene, anche il concetto di una entità totalmente non individuale come la Famiglia non può che nascere da un mito e, nello specifico, da una dea: Estia.

Estia era la primogenita di Crono e Rea; venerata come vergine (per il suo voto di castità professato al fratello Zeus…forse da qui l’origine di arrivare casti al matrimonio?), fu anche chiamata “ultima dea” poiché sacrificò il proprio trono sull’Olimpo quando Dioniso divenne un dio. Nella tradizione greco-romana è considerata dea della famiglia e (per estensione) della comunità cittadina, santificatrice della casa e, per questo, sempre invocata per prima nelle offerte dei sacrifici effettuati nell’ambiente domestico.
Anche se talvolta venne raffigurata assieme ad Ermes (propiziatore della buona sorte e protettore dalle forze maligne) e nonostante la sua prima raffigurazione fosse stata una pietra (denominata erma), a differenza di altre divinità non compare in molti miti poiché non si allontanava dall’Olimpo e perché la sua importanza stava principalmente nei rituali simboleggiati dal fuoco. La dea e il fuoco (che, allo stesso tempo, potremmo quasi definire pre- e post-prometeico) erano una cosa sola e formavano il punto di congiunzione e il sentimento della comunità, sia familiare che civile. Difatti Il suo simbolo principale era il cerchio e la sua presenza era avvertita nella fiamma viva posta nel focolare rotondo al centro della casa, nel pritaneo (fuoco sacro del braciere comune cittadino, posto nel suo edificio principale) e nel braciere circolare nel tempio di ogni divinità. Rilevante è in tal senso il fatto che le novelle spose portassero nella loro nuova casa, per consacrarla, il fuoco preso dal braciere della propria famiglia di origine; d’altronde, gli stessi coloni greci usavano portare sempre con sé una torcia accesa al pritaneo della loro città natale per collocare il fuoco nel nuovo palazzo cittadino. In qualche modo, tale rito vive ancora oggi nelle Olimpiadi moderne, con la forte valenza simbolica del suo renderci tutti fratelli, appartenenti ad una stessa famiglia…quella umana.
In Estia, dea primigenia tra le dee, possiamo ritrovare l’eco originario delle formazioni gruppali umane: il cerchio, la cura, la protezione, l’esserci ed il condividere, la luce, il calore…elementi ancestrali del femminile che sostanzia valori, sensazioni, identità di ciò che nasce tra gli uomini (maschi o femmine che siano) per il proprio benessere e sviluppo.
Nell’epoca medioevale, invece, possiamo rintracciare la forma organizzativa onnipresente di ciò che, ancora oggi, chiamiamo con il termine Famiglia. Difatti, è proprio in tale epoca che il modello di relazionalità familiare (e la sua stringente organizzazione interna) inizia ad informare ed orientare tutti i rapporti sociali: quelli del feudatario con il suo vassallo, quelli dell’artigiano con il suo apprendista. L’importanza di un paese si valutava infatti dal numero dei “focolari” e non dal numero della popolazione. Nelle leggi e nei costumi, ogni disposizione era rivolta al bene ed all’interesse della famiglia o della casata o della corporazione a chi si veniva ad appartenere. Le contese e gli scontri d’interesse divennero, proprio allora, principalmente lotte familiari nelle quali la figura del padre divenne predominante, ma non come esecutore e protettore della volontà accrescitiva del “fuoco” ma, invece, come punitore e repressore del cambiamento, di ciò che poteva divergere ed intaccare la monolitica solidità di quello che doveva essere e rimanere così come è, per sempre. In tale contesto e per lunghi secoli, le donne (vestali di Estia) furono semplicemente relegate a vegliare sulla famiglia, ordinandone i ritmi e le attività; negli stati più poveri della popolazione, inoltre, vennero ad essere le principali fautrici del sostentamento stesso della famiglia (furono infatti le prime coltivatrici dirette). La donna, in sostanza, doveva assicurare la coesistenza pacifica di tutti i membri, ognuno con i propri bisogni. La pace, pertanto, avrebbe dovuto fare della sua casa un riflesso dell’armonia prestabilita ed immutabile del mondo; ma la natura femminile, purtroppo, turba subdolamente tutto questo. Le donne (così pensavano i dottori e chierici, del tempo), sono difatti: false, volubili ed ingannatrici. Questa presunta insubordinazione femminile raggiungeva il culmine del ridicolo nei riti sanzionatori come quello della cavalcata dell’asino: se sembrava che la donna dominasse con il proprio fare il marito, lo sposo o chi ne faceva le veci, doveva percorrere il villaggio, seduto alla rovescia su un asino, tenendone la coda e mettendo pertanto in ridicolo l’intera famiglia.
E così passano i secoli, si dimenticano i miti (o si studiano solo per diletto), si irrigidiscono i riti e le consuetudini, diventando contenitori opachi o addirittura vuoti di senso. Cambiano le fattezze ma non le logiche organizzative…si passa dai diritti divini, a quelli per nascita, a quelli per classe di appartenenza o per ammontare di ricchezza. Si criticano le forme senza per questo mettere in crisi il modello ma, anzi, validandolo nel reciproco riconoscimento durante la lotta di chi è che ne detiene la verità. Famiglie aristocratiche, borghesi, allargate, nucleari, mono-nucleari, denuclearizzate (come alcuni comuni sui monti toscani…”comune denuclearizzato”: termine affasciante): sempre famiglie sono? Chissà…a me sembra che si gira intorno ad un antico braciere dove il calore del fuoco primigenio è quasi estinto, eppure continua ad attirare a sé.

A volte, quindi, il contenuto perde il proprio sé affogando nel proprio contenitore, in particolare quando quest’ultimo diventa tanto opaco e rigidamente sclerotico da dimenticare il senso della propria esistenza, volendo erroneamente affermare che ad avere valore è solo ed esclusivamente ciò che appare, la forma del Mulino, e non la farina che riesce a produrre ed il calore che riesce a condividere ed a trasmettere per le generazioni future.
Chissà, forse riflettendoci bene, per il futuro è a questo che dobbiamo tendere: recuperare i valori, lo spirito ed il contenuto stesso dell’essere Ente famiglia; uscendo dalle opache certezze della ricapitolazione e preservazione di una organizzazione immutabile potremmo forse, un giorno, recuperare il calore posto nelle profondità della forma stessa dell’acqua, ovvero dello Spirito umano.
a cura di Salvatore Rotondi