
Ai fini della decisione sulla richiesta di protezione internazionale fondata sulle minacce subite dal richiedente omosessuale, non è sufficiente l’accertamento che nello Stato di provenienza l’omosessualità non sia considerata reato, dovendo comunque accertarsi la sussistenza, in quel Paese, di adeguata protezione da parte delle autorità a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 11176/2019, depositata il 23.4.2019).
La Commissione territoriale di Crotone aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e sussidiaria richiesta da un cittadino ivoriano. L’uomo, di religione musulmana e coniugato con due figli, riferiva di aver intrattenuto una relazione omosessuale che aveva generato disprezzo e accuse da parte dei suoi familiari. A seguito dell’assassinio del compagno, aveva quindi deciso di fuggire.
Il Tribunale di Catanzaro rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria ritenendone insussistenti i presupposti. La decisione veniva poi confermata anche in appello.
La questione giunge dunque all’attenzione della Corte di legittimità.
Il ricorrente invoca gli artt. 5 e 6 d.lgs. n. 251/2007 ai fini della sussistenza del presupposto per il riconoscimento della protezione internazionale consistente nell’assenza di effettiva protezione delle persone omosessuali da parte delle autorità del suo Paese d’origine. La Corte territoriale ha infatti escluso la sussistenza di un pericolo grave per il ricorrente sulla base del mero dato di fatto per cui in Costa d’Avorio, a differenza di altri Stati africani, l’omosessualità non è reato né esistono generali problematiche di sicurezza. Tale argomentazione si rivela però non conforme a diritto. Il Collegio afferma infatti che «l’assenza di norme che vietino direttamente o indirettamente i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso, non è, di per sé, risolutivo ai fini di escludere la protezione internazionale». Il giudice non può infatti sottrarsi alla verifica circa l’offerta, da parte di quel Paese, di adeguata protezione della persona omosessuale ex art. 5, lett. c), d.lgs. n. 251/2007 per verificare se la concretata condizione personale del richiedente possa costituire minaccia grave ed individuale per la propria vita o persona con l’impossibilità di vivere nel proprio Paese d’origine senza rischi effettivi per la propria incolumità.
Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro.
a cura di Alessandro Gargiulo