
Evidente il fatto che non si sia prestata attenzione all’identificazione della persona presentatasi come titolare del conto né al confronto delle firme. Questi elementi però passano in secondo piano, una volta appurato che il prelievo è stato effettuato dal nonno omonimo del legittimo proprietario del conto (Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 13830/2019, depositata il 22.5.2019).
Prelievo indebito – per una cifra pari a 10 milioni di vecchie lire – dal conto corrente del cliente. Sotto accusa, ovviamente, l’istituto di credito, che, però, si salva, nonostante l’evidente violazione dei propri doveri per la mancata verifica sulla corrispondenza tra prenditore e titolare e sul controllo delle firme.
Decisivo è l’accertamento della truffa provata tra il titolare del conto e l’autore del prelievo illegittimo, che sono rispettivamente nipote e nonno, per giunta omonimi (Cassazione, ordinanza n. 13830/19, sez. I Civile).
Ricostruita nei dettagli la vicenda, è appurato «l’indebito prelevamento di 10 milioni di lire» da un conto corrente in un istituto di credito nella zona di Perugia. L’operazione è stata messa in atto con «un assegno interno» presentato da un anziano signore, presentatosi come il legittimo titolare del conto e risultato essere invece suo nonno, peraltro con nome e cognome identici. L’assegno è stato regolarmente pagato dalla banca nella convinzione che l’anziano signore fosse in effetti il legittimo proprietario del conto. E l’illegittimo prelievo ha causato un contenzioso tra il titolare reale del conto e la banca, contenzioso centrato su una cospicua «richiesta di risarcimento».
Pretesa assolutamente priva di fondamento, però, secondo i Giudici, che prima in Tribunale e poi in Corte d’appello evidenziano il fatto che sì «la banca è venuta meno ai propri doveri quanto alla verifica della corrispondenza dell’accipiens con il titolare del conto e della corrispondenza tra la firma» della persona che ha presentato l’assegno e «lo specimen di firma del correntista», ma essa è stata in realtà «vittima di un tentativo di truffa» concordato tra nipote – titolare del conto – e nonno – presentatore dell’assegno –.
Questa valutazione è condivisa in toto dalla Cassazione, che respinge il ricorso proposto dal legale del titolare del conto.
Anche per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, le carenze addebitabili alla banca passano in secondo piano di fronte «all’accordo fraudolento» tra nipote e nonno, fondato soprattutto «sull’omonimia dei due soggetti».
a cura di Alessandro Gargiulo