
Dopo il Sole, la stella più vicina al nostro Pianeta (soli quattro anni luce circa) risulta essere Alfa Centauri. Questo pensiero mi ha fatto sempre riflettere sullo spazio esistente tra l’Entità Terra ed i “fuochi vitali” che la circondano. Distanze vuote o piene di altre Entità (altri pianeti), a seconda del punto di vista da cui guardiamo: entità vive, entità morte, entità altre? Eppure la luce di Alfa Centauri che noi possiamo ammirare è solo la fotografia di ciò che era quattro anni fa; allo stesso tempo, del sistema in cui Alfa Centauri è inserita possiamo scorgerne solo le Ombre vecchie di quattro anni. Tutto sembra sfalsato sul piano delle distanze se ci soffermiamo a guardare le relazioni tra singoli elementi: dal punto A al punto B, una distanza e un tempo. Ma cosa succede quando spostiamo il nostro punto di vista dalla singola Entità (Pianeta, Stella, Individuo, etc.) al livello di “Complessi di Entità” (Sistemi astronomici, Gruppi, Famiglie, Comunità, etc.)? Cosa accade quando dalla singola stella iniziamo a guardare il cielo individuando le Costellazioni? Le distanze sembrano reggere ma il Tempo sembra quasi fermarsi. Dopo millenni (dai babilonesi in poi…almeno per noi occidentali), infatti, discutiamo ancora degli “influssi” delle costellazioni zodiacali sulle nostre vite e su quanto stiamo per fare. Dopo millenni i marinai potrebbero ancora orientare i propri vascelli seguendo il moto celeste di quelle Gestalt simboliche che, riconosciute e riconoscibili, ci guidano nei nostri viaggi. Come diceva il cantante Alan Sorrenti (1977): “Noi siamo figli delle stelle, Figli della notte che ci gira intorno…”.
Questa lunga premessa introduttiva per aprirci al nuovo livello della nostra discussione. Se guardiamo al singolo, alla semplice relazione tra singoli (anche se non sono mai semplici, come la giurisprudenza ci insegna), il mondo ci sembra lineare, misurabile, posto nella realtà condivisibile della legge di causa-effetto. Ma nei mesi scorsi abbiamo iniziato a comprendere come, spostandoci nel complesso delle multi-relazionalità (gruppi umani, famiglie, comunità), la suddetta legge non ci permette (tranne che operando una drastica semplificazione) di orientarci al meglio nei fenomeni che le contraddistinguono. Tale mancanza di orientamento produce, nel singolo individuo, inevitabili problemi/sintomi di disagio, capaci di sfociare in vere e proprie malattie, anche di tipo psicologico e/o psichiatrico. Cosa fare allora? Potremmo come gli antichi continuare a navigare lungo la costa…oppure affidarci alle Costellazioni: complessi simbolici atti ad orientare l’individuo nell’inconscio mare della propria vita cosmica.

Ma di quali “Costellazioni” stiamo parlando? Ebbene, ne vedremo alcune nei prossimi mesi. La prima che vi propongo è quella della Società e vedremo come tale “costellazione” apra a vissuti vari, anche patologici. Perché, pur se può sembrare assurdo, gli individui nominano le costellazioni ma sono queste ultime che, spesso, determinano e guidano le loro scelte. Impariamo allora a conoscere le costellazioni ed ha scoprirne i segni nel comportamento e nelle scelte delle singole persone.
Una società (dal latino societas, cioè “compagno, amico, alleato”) è un insieme di soggetti che, dotati di capacità organizzativa, relazionale ed autonomia, si aggregano ed interagiscono in modo vario onde perseguire uno o più obiettivi comuni. Ciò che quindi differenzia principalmente una società da un semplice insieme di soggetti è la presenza di livelli organizzativi, riscontrabili dagli individui che la compongono e osservabili dall’esterno come suoi elementi peculiari e identificativi. Da questo punto di vista, quindi, la società umana è individuabile in una comunità, con un territorio ed una organizzazione specifica (sistema di relazioni impersonali, mediate da contratti e scambi di mercato), tendente all’autosufficienza economica, composta da individui con una stessa cultura, coscienti della loro identità e capaci di realizzare rapporti e scambi più intensi rispetto a quelli stabiliti con membri di altre collettività. Pertanto, con tale definizione, è possibile concepire molteplici “tipi” di società, tanti quante sono le possibilità di configurazione relazionale (rapporti di parentela, amicali, di dipendenza, di progettualità creativa, di reciproca libertà d’azione, etc.) degli elementi che la compongono (da qui, ad esempio, la nascita dei ceti e delle classi sociali). Al giorno d’oggi è così addirittura possibile parlare, in tal senso, di “società virtuale” per quei fenomeni che si creano e si possono osservare nei gruppi durante l’interazione nel cyberspazio (oppure di “società artificiali” per quelle che interessano entità artificiali come i computer, i robot, etc.). Ma esistono anche le “società criminali”, ovvero organizzazioni che, pur facendo parte di una comunità umana più vasta (come, ad esempio, quella di una Nazione), autodefiniscono sé stesse attraverso una più o meno aperta violazione delle regole vigenti, adottandone così di proprie ed amministrando da sé alcuni poteri collettivi sugli individui. Solitamente si ritiene che sia il cosiddetto disagio sociale a condurre alcuni individui ad entrare in contatto con i tipi di socialità sopradescritti. Un soggetto, quindi, può in un certo senso vivere una tale diacronia, con la forma organizzativa della società a cui appartiene, da sviluppare ed esperire un malessere generale capace di fargli scegliere espressioni relazionali alternative ed oppositive, spesso in forma violenta verso gli altri o verso se stesso. Tali individui sono etichettati con il termine “asociali” perché considerati insensibili alle esigenze e agli obblighi sociali, fino a raggiungere addirittura l’incapacità di convivere con gli altri per atteggiamenti eccessivamente critici, fobie sociali (temere le persone durante i discorsi in pubblico o mangiando con esse), l’antropofobia (temere cioè la gente in quasi tutte le situazioni relazionali, comprese quelle amicali o familiari, e provare terrore al solo pensiero di incontri futuri), l’ansia sociale (la paura delle occasioni sociali e dell’interazione con gli altri che possano esprimere giudizi o fare qualcosa che possa far pensare ad una loro valutazione, con conseguente sensazione sgradevole di imbarazzo), sino a sviluppare condotte di vita prodomi di patologie come l’infarto, la depressione o, addirittura, il suicidio. Insomma, una “stella” incapace di riconoscersi come appartenente alla sua costellazione ed una “costellazione” che la rifiuta come propria parte componente perché con essa incompatibile, pur continuando però a relazionarcisi in modo critico: nell’impossibilità di dire che “non esisti” posso comunque sostenere che “non mi appartieni”. Da qui tutte le più famose domande dell’uomo, in particolare: Chi sono? Da dove vengo? Quindi, un profondo desiderio di “appartenenza” che ci richiama alla nostra più intima natura sociale, emersa nel momento stesso in cui, per la prima volta, come esseri viventi provammo il piacere e l’utilità di organizzarci in “costellazione”. Quando tale desiderio non viene profondamente appagato, abbiamo poi il cosiddetto sociopatico o individuo affetto da disturbo antisociale di personalità, ovvero colui che, con scarso rimorso ed in modo impulsivo-aggressivo, pur sentendosi speciale attua comportamenti manipolativi (anche trasformistici) tali da non rispettare regole e principi morali caratteristici di una data società, quindi non osservando o violando i diritti degli altri.

Quest’ultima etichetta ci aiuta a mostrare come l’individuo, nella sua qualità di persona, venga continuamente giudicato e valutato nel suo essere elemento appartenente (più o meno) ad una data socialità. La “costellazione” allora, che noi stessi concorriamo a determinare con il nostro agire, ci definisce e ci determina al di là del nostro stesso orizzonte vitale.
Possiamo allora ragionevolmente pensare che le suddette patologie individuali debbano essere necessariamente il risultato sintomatico relazionale di qualcosa che la nostra stessa società non riesce ancora ad esprimere a sé, di un proprio disagio o percorso non ancora intrapreso ma, forse, solo sognato attraverso l’impulsivo agire di alcuni individui che la compongono. L’individuo, così, si trova a fare da portaparola, da avatar, da frammento olografico dell’Ente complesso di cui fa o si sente più o meno parte. È quasi come se una intera “costellazione” si potesse rispecchiare, più o meno chiaramente, nella Luce rifratta di una sua “stella” o nell’Ombra che essa stessa crea.
Ciò diviene particolarmente chiaro quando pensiamo alle già accennate “società virtuali” dei social network digitali. In uno studio condotto da Christopher Carpenter, docente di comunicazione presso la Western Illinois University, e pubblicato sulla rivista Personality and Individual Differences, sono state difatti identificate delle importanti correlazioni tra l’uso eccessivo di Facebook e i comportamenti legati ai disturbi di personalità narcisistico e antisociale. Come abbiamo visto, i principali sintomi legati a questi disturbi sono l’incapacità di provare empatia verso gli altri, la percezione di sé stessi come eccessivamente importanti e speciali nonché una forte tendenza ad essere disinvolti e superficiali, oltre ad una forma di egoismo di cui, di solito, non si è totalmente consapevoli. Nel disturbo narcisistico di personalità, tuttavia, sono comunque assenti impulsività e disonestà ed è presente un maggiore bisogno dell’ammirazione degli altri.
Paradossalmente, allora, l’asociale narcisismo “Social” del nuovo millennio (nell’antichità si narrava la storia di Narciso, che con il suo fascino era in grado di ammaliare qualsiasi persona ed era così bello che secondo il profeta Tiresia non avrebbe mai dovuto vedere il proprio volto) forse potrà aiutarci a comprendere come, attraverso le espressioni del Volto sintomatico degli individui che fanno parte della società, sarà così possibile scorgere il Senso, permettendoci a nostra volta di orientarci in essa e di attuarne le potenzialità multilivello per il Benessere di tutti.
a cura di Salvatore Rotondi