
Lo scorso mese mi sono lasciato guidare dalla suggestiva immagine del cielo stellato per cercare di rappresentarmi e rappresentare la complessità dell’umana società. D’altronde si ritrovano segni della stessa “fantasia” in molte culture del passato, basti pensare ai libri sapienziali delle varie religioni (come nell’ebraismo o nella tradizione mesopotamica) oppure alle rappresentazioni all’interno di alcune opere funerarie (come in Egitto o nelle Ande). Ora mi chiedo: ma come nascono le “costellazioni” ed a cosa servivano? Beh, ogni bambino sa che basta unire i puntini su di un foglio per farne emergere una forma (Gestalt) che abbia più o meno un significato condivisibile. Ebbene, con gli essere umani capita lo stesso: si costruiscono relazioni, quindi nuove linee uniscono puntini formando costellazioni (due individui si uniscono e da loro può addirittura nascere un nuovo puntino, un figlio, punto di partenza per nuove costellazioni) che aiutano ad orientarsi nel mare caotico delle comunicazioni possibili.
Tali processi relazionali di costruzione dei “cieli umani”, comprensibili e condivisibili quindi per orientarsi nel caos cosmico della vita attuale, se reiterati nel tempo portano alla emersione di sempre nuove forme, sempre nuove configurazioni. Personalmente mi sento di individuare tale reiterazione ricorsiva, sempre identica e allo stesso tempo sempre fenomenologicamente diversa, nel processo dinamico della triangolazione.

Triangolazione in psicologia (in particolare nell’ambito della terapia familiare di Bowen) sta ad indicare una specifica dinamica relazionale nella quale la comunicazione e le interazioni tra due individui sono mediate da una terza persona/ente, onde gestire le varie instabilità dovute a situazioni stressanti e indeterminate. Si ricorre quindi alla terza persona/ente (in tale prospettiva potremmo inserire alle le Istituzioni come ad esempio la scuola) che viene messa in causa per diminuire o gestire lo stress.
Triangolare non è in sé un atto negativo poiché coinvolge la natura sociale dell’essere umano. Lo diventa, però, nell’atto della sua reiterazione finalizzata all’evacuazione dello stress individuale. Cioè, tale sistema di orientamento nelle situazioni complesse e aprioristicamente indeterminate si fa deleterio quando, presi dall’abitudine, diviene il metodo sicuro per non consapevolizzare la realtà del proprio stare e del contributo che singolarmente viene dato allo sviluppo di una situazione. Un possibile esempio può essere quello di una coppia in cui uno dei partner, per una qualsiasi discussione con l’altro, telefona alla madre per lamentarsene. Il conflitto, potenziale orientativo ed evolutivo della coppia, non viene così affrontato ma “deviato” verso un terzo determinando così una posizione di fragilità e impotenza per il partner oggetto della lamentela che, così, si troverà a vivere un senso di esclusione dalla relazione e l’attribuzione a sé di tutti gli elementi di stress e dei sentimenti negativi che la coppia, invece, stava vivendo in quel momento. Nella letteratura psicodinamica, la triangolazione come modalità relazionale abituale viene d’altronde associata a tratti di personalità disfunzionali, come ad esempio il disturbo narcisistico o il disturbo borderline di personalità. Difatti, l’inserimento di una terza persona in una relazione diadica significativa può avere una funzione di controllo della relazione stessa.
Aspetto positivo della Triangolazione, invece, è quando tale sistema intende coinvolgere l’elemento terzo come altro apporto di potenziali soluzioni e/o di contributi creativi alla risoluzione dei problemi di orientamento del conflitto dovuto alla indeterminazione e complessità umana. Ad esempio, se la madre citata precedentemente fosse stata coinvolta come persona esperta nella “sopravvivenza” ai problemi di coppia, quindi come apporto altro ed orientante alla questione nata tra i partner, tale contributo avrebbe direttamente chiamato i singoli componenti del triangolo alla comune elaborazione del sentimento negativo e di disagio vissuto. Insomma, esercitare in modo diffuso il potere invece che attribuirlo ad uno o due elementi della triangolazione può, in linea di massima, portare nel tempo più benefici che altro, poiché gli effetti reiterati della triangolazione negativa si faranno comunque sentire prima o poi, potenziati inoltre dal tempo trascorso e dalla mancata elaborazione individuale, di coppia e di gruppo (se consideriamo il terzo elemento).
La triangolazione diventa dunque disfunzionale solo quando diviene fonte di stress per il polo reso “debole” ed impotente dalla configurazione triangolare, ovvero quando impedisce la risoluzione dei conflitti invece di contribuire a risolverli e quando viene usata da uno o due dei suoi elementi per garantire ad essi il maggiore controllo della relazione.
Su tali basi si sviluppano i ruoli della Vittima, Carnefice (o persecutore) e Salvatore, descritte nel 1968 dallo psicologo statunitense Stephen Karpman, il cui triangolo è definito in ambito di analisi transazionale come “triangolo psicodrammatico”, o “triangolo Karpman” per quanto concerne la modalità di lettura dei cosiddetti Giochi (ovvero di quella tipologia di Strutturazione del tempo ad alto contenuto emotivo, ma altamente prevedibile, che si svolge secondo uno schema fisso e termina in modo sgradevole per i partecipanti; dinamiche che sono alla base di dipendenze, litigi frequenti, incomprensioni durevoli e simili sofferenze). Secondo il succitato psicologo, infatti, in molte interazioni le persone rispettino una sorta di schema, in cui recitano la propria parte come se seguissero un copione. Questo schema è rappresentato da un triangolo, in cui a ogni vertice corrisponde un ruolo. I tre ruoli (ognuno dei quali soddisfa bisogni egoistici) sono:
Vittima: il soggetto ottiene attenzione (perché gli altri si concentrano su di lei), soddisfando il suo bisogno di dipendenza ed evitando assunzione di responsabilità. La vittima non è sempre tale, ma agisce in modo di esserlo. I suoi sentimenti hanno a che fare con il sentirsi oppresso, accusato, senza speranza. Questa persona sembra essere incapace di prendere decisioni, di risolvere problemi e trovare soluzioni.
Persecutore: è controllante, critico, oppressivo e giudicante. Si sente superiore e prevarica (potremmo addirittura dire che “bullizza”) la vittima. Facendo così evita i propri sentimenti e le proprie paure.
Salvatore: accorre in aiuto del prevaricato, mettendosi così in buona luce onde sentirsi promotore della giustizia, in quanto moralmente superiore, ricevendo come benefit quello di evitare così i propri problemi e sentimenti. Fonte di possibile frustrazione per chi riveste questo ruolo è sentire la colpa (quindi l’impotenza) di non riuscire a salvare gli altri. Le azioni che compie, comunque, hanno effetti negativi poiché permettono alla struttura di reggersi, cioè alla vittima di restare dipendente ed al Persecutore di continuare a controllare le sue personali paure.
Secondo Karpman, questi ruoli sono culturalmente e socialmente molto diffusi e tipici nelle fiabe. In quella di Cappuccetto rosso, infatti, vediamo come questa risulti essere Vittima del Lupo (Persecutore) ma salvata dal cacciatore.
Pertanto, potremmo anche avanzare l’ipotesi che la suddetta modalità di assunzione di ruoli (interscambiabili nel corso della vita di ogni singolo individuo) possa essere il nucleo fondante della nostra organizzazione relazionale, in quanto esseri umani appartenenti alla attuale cultura sociale umana. Cioè, la prima Gestalt di orientamento (insieme al Complesso Edipico, per quanto concerne l’elaborazione dei nostri istinti in seno alla nostra società umana) nel caos cosmico delle nostre infinite possibilità relazionali, dato il numero oramai infinito di contatti/interazioni che potremmo realizzare con altri soggetti (anche attraverso gli odierni social media).
In senso evolutivo, allora, in tale schema di base delle relazioni si inserisce, in modo potenzialmente positivo, l’Ente sovraindividuale che chiamiamo con il termine “Istituzione”. Un Istituzione, infatti, è una configurazione di sovrastrutture, visibili (come l’organizzazione familiare) o simboliche (come i contenuti culturali condivisi; ad esempio i riti, gli inni oppure i linguaggi), organizzate giuridicamente, il cui fine è di garantire attraverso l’oggettivizzazione di uno specifico comportamento (pensiamo, ad esempio, alla Scuola o all’Università) le relazioni sociali e la conservazione e l’attuazione di norme, attività sociali e giuridiche stabilite tra l’individuo e la società o tra l’individuo e lo Stato, sottratte all’arbitrio individuale e del potere in generale.
Potremmo intendere le Istituzioni, a partire da tale definizione, come le prime forme di “costellazioni” umane, capaci di orientare i singoli individui nel mare cosmico della convivenza.
Esistono però, nella nostra società complessa, tantissime Istituzioni, come tante sono appunto le costellazioni in cielo. A cosa servono? Sono veramente tutte utili? Ci orientano (triangolazione positiva) o, in quanto “concentrato di Potere”, ci controllano determinando i nostri ruoli all’interno del dramma transazionale di Karpman? Come recita il titolo di questo articolo, attualmente sembra proprio che le Istituzioni, invece di orientare come facevano le costellazioni per i naviganti, siano silenti e stiano a guardare, in attesa forse (o troppo spesso) di diventare il terzo nel abbraccio triangolare del Gioco tra Vittima, Persecutore e Salvatore.

Chissà, forse è solo che le stelle che compongono la Luce di quelle Costellazioni si è solo un po’ appannata dall’inquinamento luminoso del nostro singolare, individuale e comune Narcisismo.
a cura di Salvatore Rotondi