
Nella vita dell’umanità, nel suo essere collettività, la principale istituzione (qui intesa come Campo entro i cui limiti vengono ad essere svolti ed a trovare senso determinati comportamenti) è individuabile nella acquisizione, da parte dell’individuo-persona, della qualifica di cittadino e nell’esercizio della cittadinanza.
Un cittadino, sin dai tempi delle città-stato elleniche, è un abitante o residente in uno Stato del quale possiede la cittadinanza avendone i conseguenti diritti e i doveri. Se nell’antichità non tutti potevano accedere alla “qualifica” di cittadino (in quanto ciò differenziava coloro che appartenevano ad una determinata comunità egemone rispetto al resto della popolazione all’interno di un Impero come, ad esempio, quello Romano), all’epoca dei Comuni italici, invece, tale status arrivò ad identificare una vera e propria classe sociale, titolare di diritti e situazioni giuridiche attive, superiore ai popolani (dei veri e propri sudditi, ovvero coloro che sono soggetti giuridicamente passivi (doveri e soggezioni) alla sovranità di uno Stato) ma inferiore ai nobili.
In un certo senso, quindi, potremmo dire che nel momento in cui l’Istituzione “Stato” riconosce al suddito diritti civili e politici, quest’ultimo diventa un cittadino. Pertanto, possiamo osservare come sia per conto di una Istituzione sovraindividuale (e non per un diritto naturale) che un individuo, nel suo essere anche persona, viene ad essere identificato come parte attiva (detentore di diritti e, proprio per questo, soggetta a doveri) di una collettività/insieme che chiamiamo “cittadino”.

Ma perché delegare tale “Potere” ad un Ente (l’Istituzione “Stato”) composto da umani ma che è “sovraumano”? Ripensando alla cosiddetta “natura seconda” (secondo Hegel) dell’umano, ciò è direttamente associabile alla inclinazione dell’essere vivente a formare coppie, gruppi, comunità, società, etc.. Insomma, è una vera e propria inclinazione “economica” che induce gli individui ad organizzarsi prima in aggregati, i quali poi si danno una prima organizzazione (regole/leggi/morale) onde potenziale le proprie possibilità di sopravvivenza ed evoluzione nel Campo in cui vivono e si riproducono. Per fare questo, l’individuo “delega” parte del proprio “Potere” (io aggiungerei “responsabilità” e “giudizio”) ad un ente sovraindividuale capace di migliorarne le prestazioni onde raggiungere i propri obiettivi (anche egoistici…la cosiddetta ricerca della Felicità). Per realizzare tutto questo, però, occorre tanto “Potere”; bisogna cioè raggiungere una massa critica di individui tale da rendere tale “delega” economicamente valida e capace di reggere il passare del tempo. Una Istituzione, infatti, non dorme mai né si riposa ma continua a muoversi, elaborare, digerire, produrre, etc.; pertanto, solo un quantitativo adeguato di energia, ovvero il “Potere” di una massa di individui, sempre nuovo e rinnovato nel tempo, può permettere ad una Istituzione di sopravvivere al ricambio degli elementi individuali che la compongono (un po’ come accade per ogni struttura dissipativa, così come descritta dal premio Nobel Ilya Prigogine).
Cosa ricava da tutto questo processo il singolo individuo? Ebbene, nel caso nostro specifico: la cittadinanza. Ma cos’è la cittadinanza?

La cittadinanza può essere vista come l’appartenenza e la capacità d’azione dell’individuo (determinata dai diritti civili, politici e sociali come, ad esempio, il diritto di proprietà personale e familiare, oltre al dovere di riconoscere agli altri lo stesso diritto) nel contesto di una determinata comunità politica, ovvero lo status e il rapporto giuridico tra cittadino, collettività (nazione/nazionalità) e Stato; quindi, l’Identità che l’individuo-persona acquisisce come controparte del rapporto regolamentato tra sé stesso e una entità istituzionale sovraumana della quale è parte. Difatti, tutti coloro che sono privi della cittadinanza di uno Stato sono detti stranieri se appartenenti ad un’altra entità Stato simile oppure apolidi se non hanno alcuna cittadinanza. L’Insieme dei cittadini, degli stranieri e degli apolidi che risiedono, per vari motivi e possibilità sul territorio di uno Stato (cioè i suoi abitanti), prendono il nome di popolazione ma differiscono dal popolo in quanto quest’ultimo termine coinvolge anche tutti i cittadini di uno Stato residenti altrove (cioè all’estero). Proprio la divergenza (anche numerica) che si viene a creare tra gli Insiemi umani indicati con i termini di popolazione e popolo evidenza la particolarità di quegli Enti statali interessati da un forte flusso migratorio, in entrata o in uscita. Tali Enti li potremmo considerare Vitali, in quanto accomunabili a quelle strutture dissipative citate precedentemente, ed aperti alla propria evoluzione, in quanto capaci di estendere parte dei diritti/doveri (peculiarità della cittadinanza) dei propri cittadini a componenti di altri Enti statali attraverso impegni internazionali multilaterali o bilaterali; insomma, una vera e propria rete di diritti/doveri che possano valicare i confini concettuali e pratici dei territori, andando al di là anche dello sguardo approssimativo del singolo individuo che, proprio per questo, può vivere quasi un senso di spaesamento se non addirittura di paura davanti alla indeterminatezza di come e cosa possa determinarne l’appartenenza a quello o all’altro Ente Istituzionale statale. Ovvero, l’Essere rassicurativamente Riconosciuto come parte di un Insieme/Collettività attualmente non regge più, poiché ci spinge ad abbandonare la nostra solitudine, stato primario individuale, per ri-consapevolizzare Noi stessi attraverso la domanda più importante per ogni essere umano: Io chi Sono?
Per rispondere nuovamente a tale domanda, uscendo dalle rassicuranti braccia materne/paterne dell’Ente Stato che ci definisce come cittadino, bisogna addentrarsi in un lungo e periglioso viaggio, in cui il primo solitario passo è rendersi conto della nostra natura migratoria in quanto esseri totipotenziali alla ricerca di un Senso nel mare Cosmico dell’Esistenza.

Ad oggi, possiamo dire che “l’Esistere” ha preso forma nel “virtuale” abbattimento dei limiti/muri posti nei secoli scorsi per tutelare le individualità e differenze delle singole “cittadinanze”, con il conseguente emergere della cosiddetta Globalizzazione. Vorrei sottolineare l’uso appena fatto di virtuale, in quanto è ovvio che, come ogni essere vivente (ogni struttura dissipativa) anche le Istituzioni “Stato” non siano molto contente di perdere “Potere” e, quindi, di preventivare una loro fine per far posto ad un nuovo periodo per l’umanità.
Qui si vuole intendere la globalizzazione o mondializzazione, non solo nel suo aspetto di flusso di energie tra Enti/Istituzioni Statali sostanziata nel termine Economia Mondale, ma soprattutto come quel fenomeno causato dall’intensificazione di tutte quelle forme di scambi e relazioni sovra-istituzionali che avvengono tra gli esseri umani: transizioni e comunicazioni di informazioni, corpi, culture, intelligenze, cervelli; soluzioni; problemi; emozioni; linguaggi, etc. Tali processi, abbandonando i confini territoriali, si fanno ad oggi sempre più veloci e circolari, con effetti talmente rapidi da spaventare i singoli individui e renderne difficile l’adattamento, con conseguente paura di perdita di coerenza e identità (che forse sia questa una delle cause di aumento di fenomeni e disturbi psicogeni, da panico e da stress post traumatico?).
Come quando le cellule di un corpo individuale convergono alla costituzione di una massa tumorale potenzialmente mortale perché non assimilabile dalla organizzazione di quella entità, così per il corpo collettivo di un Ente statale la mancanza di comprensione (e di eventuale organizzazione) di alcuni fenomeni di massa diventano pericoli da affrontare ed a cui rispondere per scongiurare la possibilità della propria fine. Ma possiamo dire che sia una vera fine? Se anche perdessimo la memoria delle costellazioni che osserviamo in cielo, queste sparirebbero definitivamente dal firmamento? Una “traccia” della loro Esistenza non sarebbe sempre visibile attraverso le scelte di Vita effettuate da tutti coloro che così sono stati “trasformati” e, in un certo senso, “orientati” da tali Gestalt (forme)?

Pertanto, se anche un giorno gli Enti-Istituzioni Statali che noi oggi conosciamo dovessero sparire (ovvero morire, sciogliersi nel mare cosmico del Globo), potremmo Noi dire di non essere stati mai orientati dal Senso dalla loro Esistenza? Che essa ci abbia fatto del bene o del male, potremmo mai averne una tale paura da evitarci di assecondare la nostra naturale inclinazione vitale al perpetuo cambiamento verso una sempre maggiore consapevolezza?
Che forse la paura che oggi viviamo rispetto al cambiamento del mondo che ci circonda non fosse altro che la paura degli Enti-Istituzioni hanno di sparire, dissolversi e morire? Come gli individui hanno paura della loro morte, così anche Enti sovraumani possono vivere la stessa paura e combattere per evitarla, nella perenne ricerca di una risposta alla domanda: Io che Sono, dove sto andando e perché sono vissuto?
Chissà, forse le Istituzioni (anche quelle sovranazionali) stanno oggi in attesa di una risposta; come accade in alcune situazioni familiari odierne, nell’incapacità di governare o orientare il cambiamento, aspettano che i propri figli sappiano rispondere a quella domanda, dando quindi un Senso alla Vita dei propri genitori…per poter così andarsene sereni e fiduciosi, nella Speranza di un Futuro migliore ed in Cieli più luminosi.
a cura di Salvatore Rotondi