Un giorno qualcuno mi disse che, secondo lo zodiaco siderale e tropico, io appartenevo al Leone con ascendente Ariete. Mi sono sempre chiesto cosa significasse e perché tante persone dessero importanza alla individuazione del proprio segno zodiacale. Sembra, dall’antichità, che appartenere ad uno o ad un altro segno solare (per non parlare dello zodiaco lunare cinese) determinasse alcuni aspetti della personalità di un individuo. Eppure lo zodiaco non determina i nostri destini; secondo gli astrologi, infatti, esso orienta solo il nostro incedere nella realizzazione del senso e della nostra parte di attori della vita. Ecco, in un certo senso, seguendo ancora la formulazione di Ermete Trismegisto che nel suo Kybalion diceva “Come in alto, così in basso, come in basso così in alto, per il principio della cosa unica”, intendo ora guardare come le costellazioni siderali chiamate “Nazioni” orientano i nostri passi nel Mondo che oggi viviamo. Per fare questo, però, bisogna necessariamente partire dal concetto di Nazione.

Il termine “Nazione” (che deriva dal latino “natio” (cioè “nascita”) e dal termine greco “ethnos”, nel senso di insieme umano omogeneo avente una identità territorialmente connotata) si riferisce ad una o più comunità di individui che condividono caratteristiche come lingua, territorio geografico, riti e tradizioni, eventi storici, cultura, usanze religiose ed etniche, nonché modalità di governo. Concetti quindi come quelli di appartenenza o patriottismo nazionale (usati da molti pensatori che, nel tempo, si sono interessati di tali concetti) si basano su una concezione della Nazione come Insieme capace di donare una identità collettiva che, attraverso simboli e miti comuni, acquisisce una durevolezza nel tempo atta a garantire la protezione permanente di tutti coloro che la compongono e la incarnano. Una dimensione, questa, che è evidentemente di stampo Culturale: legata, cioè, ad un profondo senso di un “Noi” costruito nel tempo, resistente ad esso ed istituzionalizzato (basti pensare alle opere letterarie, poetiche ed i canti che storicamente istoriano la nascita e la vita delle Nazioni). In tal senso basti pensare, allora, all’idea che aveva della Nazione il sociologo ed epistemologo Jürgen Habermas: un libero contratto sociale tra popoli che si riconoscono in una Costituzione comune. Difatti, una Nazione può essere sostanzialmente rappresentata da un ordinamento giuridico (Stato Nazionale) che ne afferma la sovranità. Comunemente, però, bisogna rilevare che i termini di Stato, Nazione e Paese vengono spesso usati come sinonimi. Tale uso è forviante in quanto Stato indica semplicemente la forma di governo che la Nazione (ovvero l’insieme delle persone che la compongono) si è data entro un determinato Paese (ovvero il territorio in cui risiede in modo stabile la suddetta popolazione).
Volendo comunque mantenere la dimensione del patto/contratto culturale tra popoli (in tal senso mi sovviene il mito della nascita di Roma con il solco tracciato da Romolo e la tragica fine dell’Altro, l’anti-popolo, ovvero di Remo), potremmo quasi definire l’Ente Nazione come la rappresentazione dell’anima e del principio spirituale di una popolazione, capace di accumulare memorie, sulle quali poi costruire il consenso e l’appartenenza delle future generazioni e di chi intende identificarsi con esse. Sono queste ultime, infatti, che erediteranno e ravviveranno, incarnandola, la Nazione stessa.
Vediamo, quindi, che tale Ente istituzionale sovraindividuale nasce attraverso una divisione (Noi vs Loro) e prospera con l’accumularsi delle differenziazioni (ricordi, riti, tradizioni, etc.), dei soggetti capaci di incarnarle e, contemporaneamente, di mantenerne una qualche forma di coesione. Potremmo quasi dire che sembra di rivedere il processo per il quale, dopo la fecondazione dell’ovulo femminile, i processi di divisione cellulare portano poi alla costituzione di un individuo umano completo. La Nazione, in un certo senso, rappresenterebbe quindi una specie di Campo di Coesione, un Campo Morfogenetico (concetto formulato negli anni ’80 del secolo scorso da Rupert Sheldrake) in continua evoluzione e fluttuazione complessa.
Possiamo ragionevolmente rilevare come le Nazioni non nascano dal Nulla né si poggiano sul Nulla: un Noi contempla sempre un Loro, così come un Me richiede sempre un Altro il più possibile simile a me. Proprio questo accade anche alle Nazioni: l’anima di un popolo si differenzia attraverso il confronto (il più delle volte conflitto/scontro) con quello di un altro popolo. La forma di un tale processo emergente del genius loci comunitario e territoriale potrebbe essere associato al concetto di Nazionalismo (usato per la prima volta intorno al 1770 dal filosofo tedesco Johann Gottfried Herder), le cui prime manifestazioni le possiamo rintracciare durante la Rivoluzione Francese e, in seguito, nei paesi occupati dalle truppe napoleoniche (basti pensare anche alla storia della penisola italica, dai moti napoletani del 1799 a quelli della prima metà dell’800, fino al Risorgimento).

Per nazionalismo possiamo intendere un insieme di dottrine e movimenti che, esasperando il sentimento di attaccamento, pongono al centro l’idea di nazione e di identità nazionale; storicamente si è manifestato come ideologia alla base della rivendicazione di libertà per una nazione oppressa da altre oppure come idea di supremazia di una nazione sulle altre. In tale concetto, quindi, possiamo ritrovare una serie di tracce molto attinenti anche all’epoca che oggi tutti noi viviamo: sviluppo industriale (si parla di industria 2.0, 3.0, 4.0…un ibrido tra moderno e post-moderno); necessità di una nuova alfabetizzazione e della formazione delle masse popolari; forme ideologiche di progressismo e neoliberalismo dove pseudo-nuove borghesie (anche professionali) cercano spazio in lotta contro i vecchi ceti alto borghesi (come nell’800 del secolo scorso ci si scontrava con gli aristocratici ed i loro diritti acquisiti per nascita); nuove forme di neo-imperialismo (nascenti sempre da crisi produttive e di scambi tra popoli), dove il profitto economico-finanziario (combattuto attraverso l’apposizione di dazi e sanzioni corporative) e/o militare-tecnologico determina la vita, il benessere o la morte di intere comunità; nuovi sistemi di orientamento, comprensione e controllo delle masse, con l’intento di prevedere sviluppi o contrasti futuri.
Così come il passato, oggi osserviamo fenomeni di differenziazione e integrazione/accorpamento di Enti istituzionali complessi che, come l’organizzazione interna di un essere umano, necessitano di strutture, organi/organizzazioni e regole atte ad armonizzare le diversità. In un certo senso, la storia della Penisola italiana stessa può essere specchio di tutto questo attuale globale processo: figlia di un Nazionalismo che possiamo definire integrativo ed oppositivo al diverso, ma falsamente emancipativo (voluto cioè per necessità interna di autodeterminazione di buona parte della popolazione, guidata dalla medio-alta borghesia, e allo stesso tempo, paradossalmente, ottenuto per volontà esterna allo stesso corpo territoriale nazionale), oggi cerca di consapevolizzare il senso dello stare insieme di varie realtà regionali molto diverse tra loro, onde rispondere ad un ambiente esterno che manifesta sempre più conflittualità, mostrandosi come caotico e minaccioso. Inevitabili, date queste premesse, confronti/scontri e incomprensioni innanzi ad interessi diversi nonché vissuti diversi. Aberrazioni di tali processi possono ed hanno storicamente determinato, nel lungo periodo, grandi sofferenze alle masse popolari nonché assurdi conflitti (pensiamo alle atrocità della Grande Guerra, della Seconda Guerra Mondiale, dell’Olocausto e della Bomba atomica) che hanno come unico risultato quello di mantenere il più possibile statico non lo Spirito (impossibile per definizione) ma la forma immaginifica della Nazione a cui si appartiene e del suo Potere: un po’ come fanno tutti i narcisisti patologici.
Emergono così, contrapposti l’uno all’altro, concetti come l’etnonazionalismo e l’econazionalismo.
L’Etnonazionalismo (espressosi nel conflitto nella ex Jugoslavia, nella Cecenia russa e più recentemente in Ucraina, oppure in Ruanda e Burundi, attraverso l’esasperazione di fondamentalismi religiosi, tribalismi, localismo o comunitarismo) è quella corrente di pensiero politico secondo la quale ogni organismo statale dovrebbe avere come soggetto una popolazione il più possibile omogenea dal punto di vista etnico, culturale, linguistico, religioso e, quindi, necessariamente escludente perché l’etnicità costituisce il criterio fondante della Nazione, ovvero l’unico modo nel quale essa può ottenere reali prospettive di stabilità.
L’econazionalismo, invece, è quella prospettiva che rifiuta i principi suddetti per la definizione di una nazione ed allarga la propria visione all’intero ecosistema, coinvolgendo anche ogni elemento legato al territorio nativo (quindi includendo tutti gli esseri viventi, il paesaggio e la cultura, nonché ogni altro elemento che possa ritenersi distintivo e unico della realtà spaziotemporale considerata).

In queste due polarità mi sembra di scorgere nuovamente il mito di Romolo e Remo o, addirittura, quello di Caino e Abele. Due polarità tra le quali continuiamo ad oscillare, sempre più velocemente, e delle quali la Storia continuamente ci rimanda immagini: a volte cariche di Speranza, altre volte sprofondanti nell’abisso della Disperazione.
La Storia, narrata e condivisa, delle Grandi concentrazioni Nazionali (e delle loro organizzazioni statali), tra il bene ed il male procurato alla propria popolazione, come gli U.S.A., l’U.R.S.S. prima e la Federazione Russa poi, la Cina (nel suo essere Colosso oramai anche economico), l’Arabia Saudita, L’India (nel suo essere quasi un continente a sé), il Brasile, La Comunità Europea E (caso particolare per Storia e per tutti i non detti nazionalistici; dove dopo secoli il popolo Tedesco finalmente riesce a tornarne alla Guida ma dove non si riesce ancora ad intravedere una Europa dei Popoli); Il Giappone (Gruppo di Isole la cui particolare Storia di sconti armati e di appartenenza popolare, rappresentata olisticamente dalla figura dell’Imperatore, ancora non è stata approfondita come si deve), etc., testimoniano di questa globale oscillazione (potremmo dire quasi lunare) le cui tracce e ferite ci sono continuamente ricordate dal nostro Pianeta e dal suo (nostro) stato di Salute.
In conclusione potremmo allora qui considerare i vari Spiriti nazionali, le Anime di questi Enti istituzionali Umani Complessi, come frammenti di un unico Ologramma Globale: tutti parziali e sfocate rappresentazioni di qualcosa di più grande, nonché indispensabili l’uno all’altro per la comprensione mediana del Senso dell’Umanità, su questo Pianeta chiamato Terra.
a cura di Salvatore Rotondi