La Suprema Corte interviene sul tema della legittimazione del Pubblico Ministero ad avanzare la richiesta di fallimento


In tema di fallimento, la “ratio” dell’art. 7 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, una volta venuto meno il potere del Tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è chiaramente nel senso di estendere la legittimazione del Pubblico Ministero alla presentazione della richiesta in tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la “notitia decoctionis” (Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 27539/2019, depositata il 28.10.2019).

Conseguentemente, il riferimento contenuto nell’art. 7, comma 1, n. 1) del r.d. 16 marzo 1942 n. 267 al riscontro della “notitia decoctionis” “nel corso di un procedimento penale” non deve essere interpretato in senso riduttivo, non essendo necessaria la preventiva iscrizione di una “notitia criminis” nel registro degli indagati a carico del fallendo.
Con la pronuncia in commento la Suprema Corte interviene sul tema della legittimazione del Pubblico Ministero ad avanzare la richiesta di fallimento, precisando che la richiesta può scaturire in tutti i casi in cui l’ufficio del PM abbia avuto notizia dello stato di insolvenza dell’imprenditore, anche in assenza di una notizia di reato. 

La sentenza in parola giunge all’esito di un contenzioso avviato per contestare la dichiarazione di fallimento promossa nei confronti di una società e dove viene contestata, da quanto emerge dal provvedimento in esame, sia la legittimazione del pubblico ministero a promuovere l’istanza di fallimento sia le modalità di notifica del decreto di fissazione di udienza e del relativo ricorso. Entrambi i motivi sono ritenuti infondati nei giudizi di merito e tale giudizio è confermato dal S.C., che respinge il ricorso proposto sulla base dei motivi già in precedenza scrutinati nei precedenti gradi di giudizio.

Per meglio chiarire il tema relativo alla legittimazione del PM, è utile rammentare che, ai sensi dell’art. 7 della legge fallimentare, il PM presenta la richiesta di fallimento in due ipotesi definite, ed in particolare: a) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditoreb) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. È peraltro opportuno cercare di definire l’estensione ed i limiti dei poteri del pubblico ministero relativamente a tale facoltà.

In base alla prevalente giurisprudenza, il Pubblico Ministero è legittimato a chiedere il fallimento dell’imprenditore quando risulti a conoscenza di tale stato anche in assenza di una notizia di reato o di un fatto penalmente rilevante. In particolare, la legittimazione del Pubblico Ministero sussiste anche se la conoscenza dello stato di insolvenza, dal medesimo appresa nel corso di indagini svolte nei confronti di soggetti diversi o collegati all’imprenditore medesimo, sia stata approfondita, sul piano investigativo, dopo che siano già state formulate le proprie richieste in sede penale, ove quegli approfondimenti non costituiscano una nuova e arbitraria iniziativa d’indagine, ma si caratterizzino come uno sviluppo di essa, collegato strettamente alle sue risultanze, per quanto non complete, già acquisite nel corso dell’indagine penale. La notizia dello stato di insolvenza deve quindi risultare da una notizia o da un fatto da intendersi in senso ampio, purché acquisita nel corso di indagini comunque college all’imprenditore.

Tale interpretazione, che estende notevolmente i poteri del Pubblico Ministero, emerge dalla lettura delle ipotesi alternative previste dall’art. 7, comma 1, n. 1, l.fall.; una volta venuta meno la possibilità di dichiarare il fallimento d’ufficio, è chiaramente prevista la possibilità di ampliare la legittimazione del pubblico ministero alla presentazione della richiesta per dichiarazione di fallimento a tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis. Tale soluzione interpretativa trova conforto anche nella previsione dell’art. 7, comma 1, n. 2, l.fall., che si riferisce al procedimento civile senza limitazioni di sorta, nonché nel nuovo art. art. 38 “ Iniziativa del pubblico ministero” del d.lgs. 14/2019, per il quale “Il pubblico ministero presenta il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza. L’autorità giudiziaria che rileva l’insolvenza nel corso di un procedimento lo segnala al pubblico ministero”.

Al contrario, il pubblico ministero non è legittimato a richiedere il fallimento del debitore in concordato preventivo quando, malgrado l’inadempimento, questo non sia stato risolto e l’inadempimento degli obblighi concordatari risulti solo dalla relazione del commissario giudiziale e non anche da segnalazione del giudice civile.

Analogamente, non sussiste la legittimazione del pubblico ministero a richiedere il fallimento dell’imprenditore se la notitia decoctionis sia acquisita nel corso di indagini del tutto estranee ad un procedimento penale ed in assenza di una qualunque allegazione specifica concernente il collegamento tra la chiesta declaratoria di fallimento e una delle situazioni tipizzate dall’art. 7 l.fall..

L’altro aspetto di interesse della sentenza in commento concerne la modalità di notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di fissazione di udienza. La Corte conferma il consolidato orientamento per il quale deve trovare applicazione l’art. 15 l.fall., non applicandosi, ad esempio, la previsione ex art. 145 c.p.c. che prevede, seppur come criterio sussidiario, la notifica al legale rappresentante. Ne discende che il ricorso per la dichiarazione di fallimento deve essere validamente notificato, ai sensi dell’art. 15, comma 3, l.fall. (r.d. n. n. 267/1942), nel testo novellato dal d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 2012, all’indirizzo di posta elettronica certificata della società in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero quando, per qualsiasi ragione, non risulti possibile la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante sempre dal registro delle imprese e, in caso di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo dove la medesima aveva sede. A nulla rileva, nel caso di specie, il fatto che l’immobile indicato come sede non risultasse nella disponibilità della società – per essere oggetto di una procedura esecutiva – essendo onere dell’imprenditore svolgere quelle necessarie attività per ricevere comunicazioni e notificazioni secondo le previsioni di legge.

a cura di Alessandro Gargiulo

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