
Il nostro ordinamento si è tradizionalmente ispirato al principio di irresponsabilità penale della persona giuridica, di cui il brocardo latino societas delinquere non potest, che si ricava dall’art. 27 Cost. il cui 1 comma stabilisce che la responsabilità penale è personale mentre al 3 comma dispone che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, enunciando così che i destinatari delle sanzioni penali siano le persone fisiche.
A causa dei sempre più frequenti fenomeni di criminalità economica all’interno delle imprese, nonché per l’influenza degli ordinamenti degli Stati Comunitari che invece contemplano forme di responsabilità penale delle società, è stato emanato il D.Lgs 231/01 contenente la disciplina del nuovo sistema di responsabilità degli enti per illeciti amministrativi da reato.
L’art.5 di tale decreto delinea i criteri di natura oggettiva in base ai quali è attribuibile all’ente la responsabilità – per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio – correlata a fatti criminosi verificatosi in ambito aziendale. I reati di cui si fa riferimento sono indicati agli art. 24 e 25. Il primo requisito richiesto da tale articolo è che il reato sia stato commesso da persone fisiche che ricoprono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione nello stesso, o di una sua unità organizzativa, dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché quelle che ne esercitano, anche di fatto la gestione e il controllo; il secondo requisito include persone sottoposte alla direzione e alla vigilanza di uno dei soggetti menzionati nella prima categoria. Invece la responsabilità è esclusa se gli autori del reato hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o altrui (a tal proposito è irrilevante l’esistenza di un vantaggio che l’ente possa trarre dal reato).
Pertanto la responsabilità amministrativa dell’ente si configura sia nel caso in cui l’autore materiale ha agito solo parzialmente nell’interesse dello stesso, sia nel caso abbia agito nel prevalente interesse proprio o di terzi e non vi sia stato un apprezzabile vantaggio per l’ente: in questa seconda ipotesi ci sarà solo una riduzione della sanzione pecuniaria e l’inapplicabilità delle sanzioni interdittive. Ricorrono le nozioni di interesse e/o vantaggio dell’ente anche nell’art. 12 secondo cui la sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può essere superiore ad euro 103.291,38 se l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un beneficio minimo; il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità. Esaminando a fondo la nozione di interesse, si evince che esso è identificato da un fine contenuto nella condotta delittuosa della persona fisica e per questo il giudice deve valutarlo ex ante, al momento dell’azione: l’attuazione dell’interesse può verificarsi ma anche rimanere solo potenziale. Il vantaggio, invece, è identificato da un profitto materiale ottenuto grazie alla commissione del reato anche indipendentemente dall’interesse del soggetto agente: esso è sempre associato a beni materiali riconducibili al patrimonio.
A parere di chi scrive emerge che il legislatore non reputi i due parametri come sinonimi così come analogamente sostenuto sia dalla sezione II della S.C. con sentenza 20/12/2005 sia dalla giurisprudenza di merito.
Ciò detto, si evidenzia come l’art. 5 non sia rimasto indenne dalla vastità delle interpretazioni che continuano ad interessare il d.lgs. 231/2001; in effetti sono due i principali orientamenti contrapposti: uno monistico-riduttivo, e l’altro, dualistico-disgiuntivo. Dall’interpretazione cd. dualistica emerge che, così come statuito dalla Relazione di accompagnamento al decreto 231/01, «l’interesse dell’ente caratterizza la condotta delittuosa della persona fisica mentre il vantaggio può essere tratto dall’ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse.» Secondo l’orientamento monistico, invece, l’interesse sarebbe l’unico parametro per l’ascrizione del reato all’ente, mentre il vantaggio costituirebbe una variabile causale a cui derimere la responsabilità da reato della societas: così si evince dalla lettura combinato disposto I comma art. 5 con il II comma.
Infine, con l’introduzione dell’art.25septies nel D.lgs 231/01, si è estesa la responsabilità della società ai delitti di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime, commesse violando le norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
A tal riguardo, sulla problematica compatibilità del binomio “interesse o vantaggio” con la struttura delle fattispecie colpose, si menziona – a titolo esemplificativo – la pronuncia del Gup presso il Tribunale di Cagliari del 13/07/2011. La vicenda trae origine da un incidente accaduto in una importante raffineria sarda in cui erano in corso operazioni di bonifica di un accumulatore; qui tre operai persero la vita per asfissia dovuta ad una ridotta concentrazione di ossigeno, a causa dell’utilizzo di azoto immesso nell’impianto presso cui stavano svolgendo lavori di pulizia. Vengono quindi chiamati a rispondere di fronte all’autorità giudiziaria alcuni dirigenti della raffineria, il titolare del consorzio appaltatore nonché la società che gestiva la stessa, per i profili di responsabilità ex Decreto. Il Giudice, con rito abbreviato, ha pronunciato una sentenza di assoluzione dei confronti dell’ente ritenendo i fatti – oggetto di giudizio – non riconducibili ad un “interesse” o “vantaggio” dello stesso, pur avendo condannato le persone fisiche ritenute colpevoli del delitto ex art. 589 c.p.
In conclusione, nonostante i molteplici tentativi di risolvere definitivamente la questione della riconducibilità oggettiva della responsabilità dell’ente ex d.lgs. 231/2001, attualmente non si è raggiunta alcuna certezza sul punto ma si continuino a ricercare soluzioni innovative ed alternative. Si auspica un intervento del legislatore che definisca con chiarezza la disciplina.
a cura di Cristina Formisano