In seguito ad un complesso iter legislativo, si è giunti all’introduzione dell’autoriciclaggio. Rilevante è stato il contributo delle Commissioni Greco e Fiandaca: la norma è frutto di una sintesi tra le due proposte. L’art. 3 della L. 186/2014 ha introdotto, nel nostro ordinamento, all’art. 648-ter.1. c.p., il delitto di autoriciclaggio e, attraverso un’interpolazione dell’art. 25-octies del d.lgs. n. 231 del 2001, ha incluso tale figura nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti.

Aspetti generali
Guardando al volto dell’autoriciclaggio, risalta dal primo comma della norma, la descrizione delle condotte incriminate a cavaliere tra riciclaggio e reimpiego. I tratti tipici delle condotte di laundering (sostituzione o trasferimento, con potenziale ostacolo all’individuazione della genesi delittuosa dei proventi) si fondono con quelli del reato di reimpiego (impiego in attività economiche): il risultato di tale commistione è un inedito ibrido dalle ambizioni repressive. La clausola di riserva contenuta nell’art. 648-ter c.p. comporta che del delitto di reimpiego non possa rispondere il soggetto che abbia concorso nel commettere il reato presupposto da cui derivino i proventi illeciti o che abbia commesso, in relazione ai medesimi beni, ricettazione e riciclaggio: la fattispecie è un completamento dell’art. 648-bis. Inoltre dall’art. 648-ter emerge che la condotta è solamente quella di impiego, mentre nell’autoriciclaggio può essere indifferentemente l’impiego, la sostituzione o il trasferimento.
Il delitto di autoriciclaggio è punibile a titolo di dolo: il soggetto attivo deve rappresentarsi e volere la commissione di una delle condotte tipiche. Il reato è configurabile solo se il trasferimento o il reimpiego delle utilità è avvenuto dopo il 1° gennaio 2015, data di entrata in vigore della legge n. 186/2014, e si prescrive in otto anni (aumentati a dieci con l’interruzione), sia per l’ipotesi base che per quella attenuata. La decorrenza dei termini per la prescrizione inizia da quando si reimpiega il denaro o si pongono in essere le altre condotte descritte dalla disposizione a nulla rilevando la data della consumazione de reato presupposto.(1)
In merito al rapporto tra il reato di riciclaggio e autoriciclaggio si è espressa la Cassazione(2) la quale ha ritenuto che il soggetto che, non avendo concorso nel delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio o contribuisca alla realizzazione da parte dell’autore del reato – presupposto delle condotte indicate dall’art. 648 ter.1 c.p., risponde di riciclaggio e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio essendo questo configurabile solo nei confronti dell’intraneus.
Colpisce, fin da una prima lettura della norma 648-ter 1, l’articolato sistema di attenuanti e aggravanti specifiche. In ordine di apparizione, rileva anzitutto l’attenuante prevista nei casi di reati presupposto “bagatellari”: se si tratta di reati puniti con la reclusione nel massimo inferiore a cinque anni, le pene per l’autoriciclaggio sono più contenute rispetto all’ipotesi base. Si tratta di un’attenuante assimilabile a quella prevista dal terzo comma dell’art. 648-bis c.p.; rispetto a essa, presenta, però, una struttura differente: non è costruita come circostanza a effetto comune, bensì come circostanza indipendente a effetto speciale. Si prescrive una mitigazione del trattamento sanzionatorio proporzionalmente maggiore rispetto a quella prevista nei casi di riciclaggio. Invece la ratio dell’attenuante è in contraddizione con la logica che sottende l’intervento riformatore in esame; singolare è il limite posto all’operatività dell’attenuante dal comma terzo dell’articolo 648-ter.1: se il reato presupposto è aggravato ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152/1991, non si applica la mitigazione sanzionatoria e si ritorna alla pena base.
A parere di chi scrive, la sensazione è di essere in presenza di una disposizione fortemente simbolica, tipica di una normazione attenta a veicolare messaggi politici ossia la fermezza nella lotta alla criminalità organizzata. Per quanto concerne l’aggravante disciplinata dal comma quinto, qui il novero delle attività rilevanti è ampliato anche a quelle finanziarie e bancarie. L’estensione è comprensibile per il riciclatore terzo che non per l’autore del reato presupposto. L’ultimo comma prevede una diminuzione fino alla metà della pena per attività di collaborazione post delictum. Si tratta di una circostanza che — limitatamente all’ipotesi del contributo ad assicurare le prove e i proventi del reato — denota un mutamento di prospettiva.

Questioni interpretative
Dunque, relativamente alla norma oggetto di analisi si sono create una serie di questioni interpretative: il primo nucleo problematico riguarda il perimetro di estensione della responsabilità per l’ente da autoriciclaggio.
Il dibattito si è polarizzato attorno a due profili contrapposti: alcuni – invocando il principio di tassatività – sostengono che la responsabilità dell’ente riguardi i casi in cui il delitto ab origine rientri nel catalogo dei reati presupposto; altri, rimarcando la diversità di struttura tra riciclaggio ed autoriciclaggio, affermano che l’ente risponde del reato in questione indipendentemente dall’inclusione del delitto nel nucleo di quelli “231”. L’ente quindi può implementare i modelli di gestione e controllo che ostacolino quei delitti non colposi da cui scaturisce la res del successivo autoriciclaggio.
Per quanto concerne il profilo problematico del diritto intertempolare ci si è chiesti se l’art. 648 ter1 cp,oltre ad essere applicato ai reati presupposto dopo l’entrata in vigore della legge, possa trovare applicazione anche ai reati medesimi antecedenti la sua introduzione. Se si considera il delitto non colposo del riciclatore quale presupposto della condotta, l’art. 648 ter 1 cp sarà applicato anche alle fattispecie pregresse; mentre, prendendo in considerazione le ragioni dell’introduzione del delitto de quo e dell’abolizione dell’autoriciclaggio allora la norma in questione non potrà essere applicata ai fatti pregressi per violazione del principio di irretroattività.
Per quanto attiene all‘ultimo profilo problematico, ossia del concorso nell’autoriciclaggio, si parte dall’analisi avente ad oggetto le implicazioni sistematiche della coesistenza tra quest’ultimo e il riciclaggio. Tale analisi investe sia il confronto strutturale delle suddette figure criminose, sia il problema delle dinamiche del concorso di persone della commissione dell’uno o dell’altro reato. A riguardo si riflette sul fatto che il legislatore sarebbe dovuto intervenire sul delitto di riciclaggio, eliminando la clausola di riserva e, una volta tipizzata la condotta di autoriciclaggio, avrebbe dovuto differenziare la pena prevista nei confronti dell’autore o concorrente nel predicate crime.
In conclusione, non si sarebbe dovuta percorrere la strada della costruzione della figura di reato proprio, bensì quella della differenziazione del trattamento sanzionatorio.
Personalmente reputo che l’autoriciclaggio sia stato inserito come corpo estraneo, senza una previa analisi empirico-criminologica degli spazi di tutela che meritassero un nuovo presidio penalistico: è stata seguita la logica del “fare”! Infatti, le ragioni che legittimano la punibilità dell’autoriciclaggio riguardino la tutela dell’ordine economico e la prevenzione degli effetti distorsivi legati alla circolazione dei capitali illeciti. Pertanto si sarebbero potute reprimere condotte lesive di tali interessi, distinguendo riciclaggio e reimpiego, disinteressandosi della fisionomia del reato presupposto ed evitandone la sovrapposizione.
Nuovo reato presupposto 231
L’art. 3 della L. 186/2014 ha introdotto, nel nostro ordinamento, all’art. 648-ter.1. c.p., il delitto di autoriciclaggio e, attraverso un’interpolazione dell’art. 25-octies del d.lgs. n. 231 del 2001, ha incluso tale figura nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti. In caso di condanna all’ente per il reato di autoriciclaggio sarà comminata una sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote, aumentata da 400 a 1000 per le ipotesi in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengano da delitto per il quale sia stabilita la pena della reclusione superiore, nel massimo, a cinque anni. Dopo aver aggiornato i modelli di organizzazione, gestione e controllo nonché aver inserito i punti di monitoraggio, tanto dei flussi di denaro in entrata quanto della gestione della tesoreria, bisogna sempre ricordare l’inciso che caratterizza parte dell’elemento oggettivo del reato, ovvero la realizzazione di condotte idonee ad “ostacolare l´identificazione della loro provenienza delittuosa”.(3)
In conclusione l’ente dovrà far propri i principi di controllo di carattere generale quali, a titolo esemplificativo: il divieto di occultare i proventi illeciti, la tracciabilità dei flussi e delle transazioni -a mezzo servizi bancari- e la verifica della provenienza delle risorse economiche.
Cristina Formisano
- (1) Silvetti V., L’autoriciclaggio e i suoi effetti 231 in Diritto.it, 2017
- (2) Cass. Pen. n. 17235/2018
- (3) Santoriello C., La circolare di confindustria sul nuovo reato di autoriciclaggio e la responsabilità degli enti collettivi: alcuni pericolosi equivoci, in Circolare 231 n. 7 luglio 2015, in Rivista 231