Affidamento in prova: valutazione in concreto del possibile reinserimento sociale


Riprende vigore la richiesta presentata da un detenuto di oltre 70 anni. Smentita la visione adottata dal Tribunale di sorveglianza. Per i Giudici della Cassazione, difatti, è marginale il dato relativo all’assenza di un’attività lavorativa (Corte di Cassazione, sez. I Penale, Sentenza n. 2453/2020, depositata il 22.1.2020).

La mancanza di un’attività lavorativa è dettaglio secondario e non sufficiente per rigettare a priori la richiesta di “affidamento in prova” del detenuto. Ciò che conta, invece, secondo i giudici, è il riferimento alla valutazione in concreto del suo possibile reinserimento sociale

Riflettori puntati su un uomo – di oltre 70 anni di età – che è in carcere con una pena fissata in “sedici mesi di reclusione”, o, meglio, sulla sua “richiesta di affidamento in prova al ‘Servizio sociale’”.
Dal Tribunale di sorveglianza arriva una risposta negativa. Decisiva, viene spiegato, è “la mancanza di una attività lavorativa (o risocializzante) che “impedisce l’ammissione al beneficio”. E questo dato è considerato prevalente rispetto ad altri dettagli favorevoli all’uomo, cioè “l’assenza di procedimenti penali in corso, l’idoneità del domicilio e l’assenza di elementi da cui desumere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzati”, dettagli che difatti hanno permesso l’applicazione della “misura alternativa della detenzione domiciliare, richiesta in via subordinata” rispetto all’ipotesi dell’“affidamento in prova”.

La prospettiva adottata dal Tribunale di sorveglianza viene però fortemente messa in discussione dai giudici della Cassazione, i quali definiscono “marginale” il dato della “assenza di una attività lavorativa” rispetto al “probabile reinserimento sociale dell’uomo”.
Ridiventa concreta, quindi, la possibilità dell’“affidamento in prova al ‘Servizio sociale’”. Ciò perché i magistrati ribadiscono che “la disponibilità di un lavoro non rientra tra i requisiti per la concessione della misura”, anche perché “il condannato può usufruire del beneficio pur quando non riesca a reperire un lavoro ma si impegni in attività utili”.
Tirando le somme, “per la concessione dell’affidamento in prova al ‘Servizio sociale’” lo svolgimento di un’attività lavorativa “è soltanto uno degli elementi idonei a concorrere alla formazione del giudizio prognostico favorevole al reinserimento sociale del condannato, ma non può rappresentare”, chiosano i giudici, “una condizione ostativa di accesso alla misura”, a maggior ragione quando egli “non possa prestare tale attività per ragioni di età o di salute”.

Alessandro Gargiulo

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