
Respinta la richiesta dello straniero in carcere di rivalutarne rapidamente la pericolosità. Inutile il richiamo alla situazione familiare: l’uomo è sì sposato con una cittadina italiana, ma non convive con lei da lungo tempo ed è lontano, a causa della pena, il momento dell’uscita dalla prigione e del possibile ritorno con la consorte (Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 7456/2020, depositata il 25.2.2020).
Pericolosità evidente – come testimoniato dai reati compiuti (e dalla relativa pena) e dalla rottura della convivenza con la coniuge italiana: questi due fondamentali dettagli bastano per rendere legittima l’espulsione dello straniero
Concordi magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza: esecutiva, di conseguenza, «la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato» applicata a uno straniero a seguito di provvedimento del GUP del Tribunale, che lo ha condannato a tre anni di reclusione, provvedimento poi confermato in Appello. Lo straniero si trova in carcere con ‘fine pena’ indicato nel 2028, è ritenuto pericoloso, considerati i reati commessi e la pena subita, mentre viene catalogato come non rilevante il dato costituito dal suo matrimonio con una donna di nazionalità italiana. Su quest’ultimo fronte, in particolare, i Giudici osservano che «la possibilità di ripristinare la convivenza non è verificabile» proprio a causa della «lontananza del ‘fine pena’».
Lo straniero affida al ricorso in Cassazione le ultime speranze di riuscire ad evitare l’espulsione. E in questa ottica egli, tramite il proprio legale, denuncia il giudizio di prematurità, espresso dai giudici, in merito all’«accertamento della sua pericolosità sociale». A suo parere tale valutazione è erronea, poiché «l’ordinamento consente tale valutazione anticipata rispetto alla conclusione dell’espiazione della pena» mentre «non vi è alcuna regola di sistema che stabilisca la necessaria prossimità della domanda di accertamento della persistenza della pericolosità sociale rispetto al tempo della fine della pena», tanto più che «i reati in espiazione sono stati commessi in epoca antecedente rispetto a quelli per i quali era stata disposta la misura di sicurezza dell’espulsione».
Per dar forza alla propria posizione, poi, l’uomo ricorda anche di essere legato a «una moglie di nazionalità italiana con la quale ha contratto matrimonio da cui sono nati due figli”. Evidente, quindi, a suo parere, l’esistenza di «una causa di ineseguibilità della misura di espulsione» alla luce dello «stabile e duraturo rapporto familiare».
Le obiezioni proposte dal legale dello straniero non convincono però i Giudici della Cassazione, che, di conseguenza, ne confermano l’espulsione dall’Italia
Primo punto in discussione è il momento in cui deve effettuarsi la verifica della pericolosità sociale del condannato. Su questo fronte i Giudici richiamano la Corte Costituzionale, che ha imposto l’accertamento in concreto della pericolosità sociale e ha stabilito il principio che tutte le misure di sicurezza personali vanno precedute dell’accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa. In questo quadro è corretta, spiegano i Giudici della Cassazione, l’osservazione fatta dai giudici di merito sul «carattere eccessivamente anticipato di tale verifica» riguardo alla posizione dello straniero, poiché «il sistema generale delle misure di sicurezza, postulando la necessità di una permanente verifica della condizione principe di applicabilità, richiede che la pericolosità sociale sia accertata in prossimità del momento dell’esecuzione della misura stessa, cioè all’esito dell’espiazione della pena». Di conseguenza, «la determinazione del Tribunale di sorveglianza è stata nel senso che, all’attualità, gli esiti dell’osservazione inframuraria depongono in senso totalmente sfavorevole al condannato, considerati i reati commessi e l’entità della pena in espiazione». Ciò implica che «all’attualità vi sia una concreta pericolosità sociale», ma «la rilevanza di tale valutazione è nulla, dovendosi tale vaglio effettuare con rilievo decisivo soltanto quando la misura di sicurezza diventerà eseguibile».
Tale valutazione non è messa in discussione neanche dall’osservazione che «la condanna attualmente in esecuzione riguardi reati commessi prima di quello per il quale venne disposta la misura di sicurezza, la cui pena è già stata interamente espiata. La valutazione della pericolosità sociale si pone, difatti, su un piano differente, e peraltro il rilievo che ancor prima dell’applicazione della misura di sicurezza lo straniero avesse commesso più gravi condotte in violazione della normativa sugli stupefacenti non fa che rendere più pregnante allo stato attuale il giudizio di pericolosità sociale, appunto in considerazione dell’indice della pesante condanna riportata per quei delitti».
In sostanza, affrontando il tema della intempestività, perché eccessivamente anticipata, dell’istanza di valutazione della pericolosità sociale, bisogna tener presente, spiegano i giudici, che «la statuizione in punto di misura di sicurezza, divenuta definitiva, risulta rivedibile, nella maggior parte dei casi, in riferimento al profilo della persistenza della pericolosità sociale e ciò richiede, per logica, un minimo di distanza temporale tra il momento della definitività del titolo e quello della richiesta di rivalutazione, ma in nessun caso è estraibile dalle disposizioni normative applicabili una regola di necessaria prossimità della domanda al ‘fine pena’». Tuttavia, in questa vicenda va considerato «un ulteriore profilo di rilievo attinente alla valutazione dell’interesse dello straniero ad ottenere un accertamento immediato (peraltro nella specie incidentalmente effettuato con esito negativo dal Tribunale di sorveglianza), laddove il rinvio della verifica sulla persistenza della pericolosità sociale a tempi più congrui appare funzionale allo sviluppo del trattamento penitenziario, con le potenzialità rieducative che ne conseguono, e dunque con il formarsi di un più completo quadro di osservazione».
Per quanto concerne, poi, il tema della famiglia creata in Italia dallo straniero, i giudici della Cassazione sono netti: «la verifica della sussistenza dello stato di convivenza con il coniuge di nazionalità italiana, condizione ostativa all’applicazione dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, va compiuta all’esito dell’espiazione della pena, momento in cui il magistrato di sorveglianza dispone l’esecuzione del provvedimento» e, soprattutto, «deve essere abbinata ad un’attenta ponderazione della pericolosità concreta ed attuale dello straniero in rapporto alla sua complessiva situazione familiare, alla luce della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno in Italia e dell’esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il Paese di origine».
Ebbene, in questo caso, «l’esame della condizione familiare dello straniero», alla luce della «prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare», consente di osservare che attualmente «lo straniero non convive con i familiari da lungo tempo e non ha prospettive di ravvicinato ripristino della convivenza, data la lunga pena detentiva in espiazione».
Alessandro Gargiulo