Per inquadrare se ed in che modo, in questo periodo di emergenza nazionale, le libertà fondamentali individuali sono costrette dalla normativa emergenziale adottata dalle Istituzioni, è necessario fare un excursus di quelli che sono stati i provvedimenti adottati in questo periodo. Da quando l’OMS ha dichiarato che il COVID-19 sia ormai da considerarsi una pandemia, e quindi una malattia diffusa in tutto il mondo che coinvolge almeno due continenti, indipendentemente dalla gravità della malattia stessa, ogni Paese deve mettere a punto un Piano pandemico ed aggiornarlo in base alle direttive dell’Oms.

Il giorno successivo, alla dichiarazione di pandemia dell’OMS, il 31 gennaio, il Consiglio dei Ministri del Governo italiano deliberava lo “stato di emergenza nazionale”, situazione prevista e disciplinata dall’art. 24 del d.lgs. n. 1 del 2018 (codice della protezione civile). Con questo provvedimento non soltanto si dichiaraba il rischio sanitario per la durata di sei mesi, ma veniva prevista la possibilità di intervenire tramite ordinanza della Protezione Civile.
Le ordinanze di protezione civile, ex art. 25 d.lgs. 1/2018 possono essere adottate anche i deroga alle disposizioni vigenti, rispettando i principi generali dell’Ordinamento Giuridico e le norme dell’Unione europea «in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea. Le ordinanze sono emanate d’intesa delle Regioni e Province autonome territorialmente interessate e, ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate.
Immediatamente dopo venivano emanate una serie di ordinanze da parte di enti locali nelle zone dei primi focolai di contagio (un esempio su tutti l’ormai celeberrimo Comune di Codogno in data 21 febbraio). L’art. 50 del Testo unico sugli enti locali, infatti, prevede il potere del sindaco di emanare ordinanze e urgenti “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”. Ben presto però l’emergenza ha superato i confini e gli ambiti dei singoli comuni, e quindi, come sempre il citato art. 50 prevede, lo Stato e le Regioni hanno provveduto all’emanazione di tali provvedimenti di urgenza.

È in questo ambito che si innesta la materia delle competenze “concorrente” tra Stato e Regioni, regolata dall’art. 117 della Costituzione che al terzo comma recita “La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite” Questa ripartizione ovviamente può porre dei problemi di coordinamento in caso di situazioni di necessità e urgenza che giustifichino il ricorso a misure straordinarie. Il Servizio sanitario nazionale, che in questo periodo è un punto di riferimento costante anche per l’emanazione dei provvedimenti straordinari, è stato istituito nel 1978 con la Legge n. 833, che conferisce al Ministro la possibilità di emettere «ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni» (art. 32), ed analogo potere di emettere ordinanze nelle medesime materie viene attribuito anche al Presidente della Giunta regionale (oltre che al Sindaco), con efficacia limitata al territorio regionale o una sua parte.
La situazione nazionale si aggravava costantemente, così che il 23 febbrario 2020, veniva emanato il decreto-legge n. 6, recante “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, convertito, con modificazioni, con legge n. 13 del 5 marzo 2020.
Tale DL 6/2020, oramai superato dai provvedimenti emergenziali successivi, prevedeva che nei Comuni o aree ove vi fossero soggetti positivi al COVID-19, le autorità competenti fossero tenute ad adottare ogni misura di contenimento adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione, tra cui divieto di allontanamento e di accesso al comune o all’area interessata; sospensione di manifestazioni, eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato; sospensione dei servizi educativi e dei viaggi di istruzione; sospensione dell’apertura dei musei; sospensione delle procedure di concorsi pubblici e attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità; applicazione di misure di “quarantena con sorveglianza attiva” per chi avesse avuto contatti stretti con persone affette dal virus; sospensione dell’attività lavorativa per alcune tipologie di impresa e chiusura di alcune tipologie di attività commerciali; possibilità che l’accesso ai servizi pubblici essenziali e agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità fosse condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale; limitazione all’accesso o sospensione dei servizi trasporto di merci e di persone. Era altresì prevista la facoltà di adottare ulteriori misure di contenimento.
Il testo del DL 6/2020 prevedeva che l’attuazione di tali misure di contenimento dovesse essere disposta con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri e il Presidente della Regione competente ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso le misure interessassero più Regioni. Si garantiva l’esecuzione delle misure con l’ausilio delle forze di polizia e, ove occorresse, delle forze armate; un espresso richiamo veniva operato all’art. 650 codice penale per il mancato rispetto delle misure di contenimento, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.
A questo decreto-legge facevano seguito i vari decreti attuativi del Presidente del Consiglio
Il primo è stato il DPCM 23 febbraio 2020 (stessa data del decreto-legge) recante “misure urgenti di contenimento del contagio nei Comuni delle Regioni Lombardia e Veneto”, indicando gli undici Comuni interessati e alcune misure urgenti di contenimento sul piano nazionale.
Dopo appena due giorni fu emanato il DPCM 25 febbraio 2020, recante ulteriori misure urgenti, con particolare riferimento a misure previste per scuole e università, alcune valide nei comuni delle regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte e altre su tutto il territorio nazionale.
Il 1° marzo 2020, un nuovo DPCM, recante ulteriori misure di contenimento del contagio negli undici Comuni già individuati, nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto e nelle province di Pesaro-Urbino, Savona, Bergamo, Lodi, Piacenza e Cremona, assieme a ulteriori misure sull’intero territorio nazionale.
Il DPCM del 4 marzo 2020, recante ulteriori disposizioni attuative applicabili sull’intero territorio nazionale. Veniva innanzi tutto disposta la sospensione assoluta di una serie di attività, quali: congressi, riunioni, meeting ed eventi in cui fosse coinvolto personale sanitario o incaricato di servizi pubblici essenziali o di pubblica utilità; eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato; servizi educativi per l’infanzia, attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore e universitaria, corsi professionali, master; viaggi d’istruzione, iniziative di scambio o gemellaggio, visite guidate e uscite didattiche comunque denominate, programmate da istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado; divieto agli accompagnatori di pazienti nei dipartimenti emergenze e accettazione e pronto soccorsi di permanere nelle sale di attesa salve diverse indicazioni del personale preposto.
Venivano poi previste una serie di ipotesi di sospensione con eccezioni: manifestazioni, eventi e spettacoli, ivi inclusi cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportassero affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro; rimaneva consentito, nei Comuni diversi da quelli della “zona rossa” lo svolgimento di eventi e competizioni, nonché sedute di allenamento degli atleti, all’interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all’aperto senza la presenza di pubblico, fermo restando l’obbligo di controlli idonei a contenere il rischio di diffusione del virus; sport di base e attività motorie svolte all’aperto ovvero all’interno di palestre, piscine e centri sportivi di ogni tipo, erano ammessi a condizione che fosse possibile il mantenimento della distanza interpersonale di almeno di un metro; erano esclusi dalla sospensione corsi post universitari connessi alle professioni sanitarie, ivi inclusi quelli per i medici in formazione specialistica, i corsi di formazione specifica in medicina generale, le attività dei tirocinanti delle professioni sanitarie, nonché le attività delle scuole dei ministeri dell’interno e della difesa; l’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite (RSA) e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, era limitata ai soli casi indicati dalla direzione della struttura, tenuta ad adottare le misure necessarie.
Il DPCM 8 marzo 2020 recante ulteriori misure di contenimento, ove si inasprivano sia le misure in atto nella cosiddetta “zona rossa” (Regione Lombardia e province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro-Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia) che quelle vigenti sull’intero territorio nazionale.
In particolare, con le prime si prevedeva il divieto di spostamento «in entrata e in uscita dai suddetti territori, nonché all’interno dei medesimi territori», salvo spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute; consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5° C) era fortemente raccomandato di rimanere presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali, contattando il proprio medico curante; divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus.
Sull’intero territorio nazionale, invece, si prevedeva: sospensione di manifestazioni, eventi e spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato; chiusura di pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; chiusura di musei e altri istituti e luoghi della cultura; svolgimento delle attività di ristorazione e bar, con obbligo, a carico del gestore, di far rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro; sport di base e attività motorie in genere, svolti all’aperto ovvero all’interno di palestre, piscine e centri sportivi di ogni tipo, erano ammessi esclusivamente a condizione del rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro; qualora possibile, era raccomandato ai datori di lavoro di favorire la fruizione di periodi di congedo ordinario o ferie; ferma restando la sospensione le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri, l’apertura dei luoghi di culto era condizionata all’adozione di misure tali da evitare assembramenti, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro; divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus.
Considerato il carattere particolarmente diffusivo dell’epidemia, con un notevole incremento dei casi sul territorio nazionale, e la necessità di misure volte a garantire uniformità nell’attuazione dei programmi di profilassi, il 9 marzo veniva emesso il sesto DPCM.
Si tratta di un provvedimento di assoluto rilievo, in quanto prevede che le misure di contenimento del contagio stabilite in precedenza per la regione Lombardia e le quattordici province della cosiddetta “zona rossa” si applichino fino al 3 aprile 2020 all’intero territorio nazionale.
Trattasi di: divieto di ogni spostamento (non si può intendere in altro modo l’applicazione all’intero territorio nazionale dell’espressione “spostamento in entrata e in uscita dai suddetti territori, nonché all’interno dei medesimi territori” contenuta nel precedente decreto), salvo spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza; ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5° C) è fortemente raccomandato di rimanere presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali, contattando il proprio medico curante; divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus; sospesi eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati. Resta consentito lo svolgimento dei predetti eventi e competizioni, nonché sedute di allenamento di atleti professionisti e atleti di categoria assoluta che partecipano ai giochi olimpici o a manifestazioni nazionali o internazionali, all’interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all’aperto senza la presenza di pubblico; si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia del presente decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando la possibilità di svolgere lavoro agile; chiusi gli impianti dei comprensori sciistici; sospese tutte le manifestazioni organizzate nonché gli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso e fieristico, anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico quali ad esempio, grandi eventi, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; sospesi i servizi educativi per l’infanzia e le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza di attività scolastiche e formazione superiore, comprese università, corsi professionali, master, corsi per professioni sanitarie e università per anziani, corsi professionali e attività formative svolte da altri enti pubblici, anche territoriali e locali e da soggetti privati, ferma in ogni caso la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza; vengono esclusi corsi per medici in formazione specialistica e di formazione specifica in medicina generale, nonché le attività dei tirocinanti delle professioni sanitarie. Ferma restando la sospensione delle cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri, l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro; chiusi tutti i musei e gli altri istituti e luoghi della cultura; sospese le procedure concorsuali pubbliche e private ad esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati è effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica; sono esclusi dalla sospensione i concorsi per il personale sanitario, ivi compresi gli esami di Stato e di abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo, e quelli per il personale della protezione civile; consentite le attività di ristorazione e bar dalle 6.00 alle 18.00, con obbligo, a carico del gestore, di predisporre le condizioni per garantire la possibilità del rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro; consentite le attività commerciali diverse da quelle di cui alla lettera precedente a condizione che il gestore garantisca un accesso ai predetti luoghi con modalità contingentate o comunque idonee a evitare assembramenti di persone, tenuto conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza di almeno un metro, tra i visitatori, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione. In presenza di condizioni strutturali o organizzative che non consentano il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, le richiamate strutture dovranno essere chiuse; sospesi i congedi ordinari del personale sanitario e tecnico, nonché del personale le cui attività siano necessarie a gestire le attività richieste dalle unità di crisi costituite a livello regionale; nelle giornate festive e prefestive sono chiuse le medie e grandi strutture di vendita, nonché gli esercizi commerciali presenti all’interno dei centri commerciali e dei mercati. Nei giorni feriali, il gestore dei richiamati esercizi deve comunque predisporre le condizioni per garantire la possibilità del rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione. In presenza di condizioni strutturali o organizzative che non consentano il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, le richiamate strutture dovranno essere chiuse. La chiusura non è disposta per farmacie, parafarmacie e punti vendita di generi alimentari, il cui gestore è chiamato a garantire comunque il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione; chiuse palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali (fatta eccezione per l’erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza), centri culturali, centri sociali, centri ricreativi; sospesi gli esami di idoneità, da espletarsi presso gli uffici periferici della motorizzazione civile aventi sede nei territori di cui al presente articolo; con apposito provvedimento dirigenziale è disposta, in favore dei candidati che non hanno potuto sostenere le prove d’esame in ragione della sospensione, la proroga dei termini. Si stabilisce inoltre il divieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Ulteriori prescrizioni riguardano lo sport: sono sospesi eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati. Gli impianti sportivi sono utilizzabili, a porte chiuse, soltanto per sedute di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti, riconosciuti di interesse nazionale dal CONI e dalle rispettive federazioni, in vista della loro partecipazione ai giochi olimpici o a manifestazioni nazionali ed internazionali; resta consentito esclusivamente lo svolgimento di eventi e competizioni sportive organizzati da organismi sportivi internazionali, all’interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all’aperto ma senza la presenza di pubblico; in tutti tali casi, le associazioni e società sportive sono tenute ad effettuare i controlli idonei; lo sport e le attività motorie svolti all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro.
Infine, nella serata dell’11 marzo è stato emesso un altro DPCM, il settimo in venti giorni, contenente un ulteriore inasprimento delle misure fin qui adottate.
Attività commerciali
Sospese tutte le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per alcune attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità espressamente individuate nell’allegato 1 al decreto (farmacie e parafarmacie, ipermercati, supermercati, discount alimentari; e poi commercio al dettaglio di: prodotti surgelati, prodotti alimentari, bevande e tabacchi, carburante, computer, periferiche, attrezzature per telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici, apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni, ferramenta, vernici, vetro piano e materiale elettrico e termoidraulico, articoli igienico-sanitari, articoli per l’illuminazione, giornali, riviste e periodici, medicinali non soggetti a prescrizione medica, articoli medicali e ortopedici, articoli di profumeria, prodotti per toletta e l’igiene personale, piccoli animali domestici, materiale per ottica e fotografia, combustibile per uso domestico e riscaldamento, saponi, detersivi, prodotti per lucidatura e affini; vendita di prodotti via internet, televisione, per corrispondenza, radio, telefono, o a mezzo di distributori automatici), sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell’ambito della media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali, purché sia consentito l’accesso alle sole predette attività. Sono chiusi, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, i mercati, salvo quelli di generi alimentari.
Bar e ristoranti
Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, a patto che garantiscano la distanza di sicurezza. Consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie per l’attività di confezionamento e di trasporto. Restano aperti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali.
Servizi alla persona
Sono sospese le attività inerenti servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti) diverse da quelle individuate nell’allegato 2 del decreto (lavanderia e pulitura di articoli tessili e pelliccia, lavanderie industriali e altre lavanderie, tintorie, servizi di pompe funebri e attività connesse). Restano garantiti i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonché l’attività del settore agricolo, zootecnico agro-alimentare incluse le filiere che ne forniscono beni e servizi.
Trasporti pubblici
Si stabilisce che i Presidenti di Regione possano disporre la programmazione del servizio di trasporto pubblico locale, anche non di linea, con possibilità di riduzione e soppressione dei servizi in relazione alla necessità di contenere l’emergenza coronavirus, tenendo conto delle effettive esigenze e assicurando i servizi minimi essenziali. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, può disporre, al fine di contenere l’emergenza sanitaria da coronavirus, la programmazione con riduzione e soppressione dei servizi automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, aereo e marittimo, sulla base delle effettive esigenze e al fine di assicurare i servizi minimi essenziali.
Lavoro pubblico
Ferma restando la raccomandazione di promuovere la fruizione di congedi ordinari e ferie, e fatte salve le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza, le pubbliche amministrazioni assicurano lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile (a domicilio o a distanza) del proprio personale dipendente, e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza.
Per tutte le attività che restano aperte deve essere in ogni caso garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro, invitando ove possibile all’utilizzo di modalità di lavoro agile.
Attività produttive e professionali
Per quanto riguarda attività produttive e professionali si raccomanda che: sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al domicilio o a distanza; siano incentivati ferie e congedi retribuiti per i dipendenti nonché altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva; siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione; si assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro, con adozione di strumenti di protezione individuale; siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali; ad ogni modo, limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e contingentare l’accesso agli spazi comuni, favorendo intese tra organizzazioni datoriali e sindacali.
Durata delle misure
Si stabilisce che le prescrizioni del decreto producano effetto fino al 25 marzo 2020 (anteriore, quindi, rispetto a quella del 3 aprile valida per le altre misure adottate in precedenza). Pare evidente che questo decreto è un aggiustamento che le stesse associazioni di categoria (negozianti) auspicavano: considerando la quasi totale inutilità della loro apertura, sono stati gli stessi negozianti e associazioni a chiedere la chiusura delle attività, anche in considerazioni delle preventivate manovre a sostegno poi emanate dal Governo (leggi Decreto Cura italia).
In un precedente elaborato abbiamo già affrontato il problema relativo alle conseguenze, sia per i privati che per le persone giuridiche, in caso di violazione delle prescrizioni.

Per quanto concerne le libertà individuali, il quadro normativo che si è rappresentato pone evidentemente una serie di questioni molto delicate, giacché le misure sopra descritte vanno ad incidere pesantemente su libertà e diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione, come ad esempio la libertà di circolazione (art. 16), la libertà di riunione (art. 17), il diritto all’istruzione, ed altre.
Ora, vista la situazione di indubbia emergenza, non sembra possa dubitarsi che misure eccezionali siano legittime, anche sul piano costituzionale. Non dimentichiamo che lo stato di emergenza sanitaria è stato dichiarato non solo dalle autorità italiane ma anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. È evidente che siffatto stato di emergenza consente, anzi, imponga interventi straordinari e urgenti.
La conferma la dà la stessa Carta Costituzionale che in tema di libertà di circolazione prevede espressamente, all’art. 16, che questa possa essere limitata «per motivi di sanità o di sicurezza», che nel caso in questione sicuramente sussistono. Dal canto suo, l’art. 17dispone che la libertà di riunione possa essere vietata per «comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica». Infine poi che l’art. 32della Costituzione stabilisce che la salute sia tutelata non solo come «fondamentale diritto dell’individuo» ma anche come «interesse della collettività», il che autorizza misure atte a tutelare tale interesse collettivo. Va anche menzionatol’art. 120 Cost., ove si prevede espressamente che il Governo centrale possa “sostituirsi” a Regioni, Province e Comuni in caso di «pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica»
Le misure sin qui adottate possono risultare a singhiozzo ed alle volte confusionarie, ma di certo sono state conseguenti allo sviluppo della situazione emergenziale. Lo stato di emergenza nazionale, come detto, è stato proclamato il 31 gennaio, appena un giorno dopo che l’OMS aveva dichiarato lo stato di emergenza internazionale.
È quindi fuori di discussione che le misure emanate, anche nel loro concreto divenire, siano dotate di “copertura” costituzionale, sia sul piano formale sia su quello sostanziale. Con la sola condizione che tali misure abbiano carattere determinato sul piano temporale, riferito, ovviamente, al cessare dell’emergenza in atto.
In conclusione, quindi, è corretto affermare che, pur nella difficoltà di considerare la compressione dei diritti e delle libertà fondamentali, queste misure hanno lo scopo di tutelare quegli stessi diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita e alla salute.
Federico Iossa