Nella nostra epoca di famiglia nucleare o, addirittura, mononucleare/monogenitoriale il ruolo di cui si parlerà stavolta getta una luce sulla trasformazione stessa della funzione che, una volta, veniva assunta dagli elementi componenti la cosiddetta “famiglia allargata”.
Chi non ha un ricordo particolare collegabile con un@ zi@, familiare o acquisito, che possa caratterizzare il proprio percorso di crescita? Ricordi belli, brutti, significativi, traumatici, di perdita o di modello di esistenza, il ruolo dell@ zi@ sembra essere un segnatempo del nostro incedere in questo mondo. Gli Zii così si possono andare a definire come veri e propri attori di un raccordo fantasmatico tra il nuovo nucleo familiare e la famiglia d’origine (qui vogliamo utilizzare questo termine nel modo più ampio possibile) di ogni componente della nuova cellula sociale. Ma non solo; difatti sono zii putativi anche gli amici, più o meno coetanei dei genitori, che dagli stessi vengono presentati come soggetti significativi nella loro storia di vita affettiva e relazionale: un vero e proprio ponte psichico tra passato, presente e futuro di tutti gli elementi componenti un sistema familiare.

Zii, quindi, come L’Altro Significativo
L’Altro (colui che non è Me, che non mi appartiene direttamente, che apre alla esperienza del Mondo a me diverso) che assume un valore specifico e acquista un’importanza maggiore rispetto allo Sconosciuto (a colui, cioè, che può spaventare, terrorizzare, atterrire, poiché risulta essere non pensabile, categorizzabile, comprensibile in poco tempo).
In tal senso, possiamo ricordare il pensiero di George Herbert Mead sull’argomento. Egli teorizzò che lo sviluppo del Sé è difatti molto influenzato dalla relazione e dalla interazione con gli altri (Mente, Sé e Società, 1934), poiché l’individuo, durante il proprio processo di crescita, sembra manifestare sempre più attenzione ai loro comportamenti, alle loro attribuzioni ed alle loro opinioni. Mead sostenne pertanto che i cosiddetti “altri significativi” (figure di attaccamento, insegnanti, pari, etc.) posseggono appunto la capacità di contribuire alla modificazione del modo in cui ci vediamo e rappresentiamo. Inoltre, pose l’accento su alcune fasi evolutive specifiche (piuttosto che su tutto l’arco di vita), individuandone tre:
- Nella prima fase (preparatory stage), le interazioni con l’adulto avvengono principalmente attraverso una fredda imitazione, essi osservano le sue azioni tentando di riprodurle come se fossero davanti ad uno specchio dove l’altro è la loro immagine riflessa;
- Nella seconda fase (play stage) si inizia a comunicare con l’altro utilizzando un linguaggio simbolico che si andrà via via modificando nel tempo. In questa fase, infatti, si vedono emergere i processi di assunzione dei primi specifici ruoli sociali attraverso i quali si manifesta la prima attenzione anche ai comportamenti e ai pensieri degli altri significativi;
- Nell’ultima fase (game stage) questa attenzione acquisita si sviluppa sempre di più. Pur restando principale e da modello il ruolo assunto dall’altro significativo, i bambini iniziano a prestare attenzione ai comportamenti e alle opinioni della società in generale, ciò che Mead definisce l’altro generalizzato. Ciò implica quindi che le azioni iniziano ad essere influenzate anche dai principi sociali, dalle aspettative dal mondo esterno. Si apre qui la possibilità per ognuno di noi di assumere più ruoli integrabili in un’unica struttura di personalità.

Gli Zii così divengono portatori, per le componenti più giovani di una famiglia, di veri e propri modelli di vita sociale. Tali modelli possono addirittura presentarsi come alternativi o in opposizione a quelli espressi dagli stessi genitori. Pensiamo, ad esempio, quando è importante che nelle prime fasi della vita, nei processi della prima socializzazione (al nido, nelle scuole elementari), ci siano delle figure alternative ai genitori che possano essere vissute come Altre, quindi semi-sconosciute e non totalmente sconosciute e, quindi, temibili. L’integrità della psiche potrebbe essere sottoposta ad una vera e propria crisi esistenziale, davanti all’imposizione di schemi comportamentali ma, ancor più emotivi, totalmente distanti dal vissuto familiare del bambin@. È così che il metodo Montessoriano tenta di procedere attraverso una conoscenza della famiglia, una educazione ai sentimenti ed ai comportamenti rispettosi di sé stessi e degli altri. I bambini, poi, si faranno essi stessi promotori di quegli stessi comportamenti carici di affettività positiva che attecchirà nei luoghi di provenienza solo se troverà lì la stessa affettività da ri-conoscere. Tutto questo, ovviamente, passa per gli Altri significativi, gli Educatori, capaci di essere un po’ dentro e un po’ fuori dalla cerchia familiare.
Questi saranno i presupposti sui quali lavoreranno i futuri Altri Significativi, ovvero i maestri di scuola, i professori, le guide spirituali, i maestri sportivi o di arti marziali, etc.; tutti portatori di modelli complessi di relazionalità legati agli ambienti esperienziali che, durante la crescita, ognuno di noi ha attraversato. Tutti elementi fondamentali durante la pre-adolescenza e tutta l’adolescenza verso un sempre più integrato sviluppo del Sé ed una sua individuazione.

Ma, troppo spesso, nella cronaca si legge del pericolo insito in tale figura. Il pericolo dell’Orco, dello Spaventevole Sconosciuto che si nasconde dietro la maschera rassicurante dell@ Zi@, dell’Altro significativo. Sentiamo di sopraffazione ed abuso di ruolo e di potere nei nidi, negli asili, alle elementari, abusi in famiglia da coloro che, immaginificamente, dovrebbero proteggere e rassicurare. Spesso i genitori si trovano a colpevolizzare sé stessi per non aver ascoltato i propri piccoli. Psicologicamente parlando questo è comprensibile: è il genitore che “presenta” (così come la madre presenta il soggetto che poi verrà a fare funzioni di padre per un minore) l’Altro e che lo carica di Significatività. Ma possiamo colpevolizzare un genitore? Io dico di no. La colpa (differente dalla co-imputabilità) si accompagna sempre ad un esercizio consapevole di un potere causale e, per essere tale, quest’ultimo deve essere in-formato (pensiamo, ad esempio, al consenso informato in ambito sanitario). Si può allora errare; l’importante è però non perseverare nell’incoscienza. Ecco perché è importante dialogare con gli educatori, conoscere i luoghi, ascoltare in modo attivo i minori: tutte fonti di informazioni per una scelta veramente consapevole.
Troppo spesso ci “Affidiamo” invece di “Fidarci” dell’Altro

Fidarsi comporta in primis la conoscenza di sé e di ciò che si vuole ed è meglio per coloro che ci vengono dati in cura, in custodia. Per fidarci dobbiamo quindi conoscere, altrimenti ci affidiamo sempre a ciò che è e sarà per noi il totalmente Sconosciuto. Ed allora capita, a volte, di operare delle vere e proprie negazioni di ciò che ben conosciamo, pur di tranquillizzare noi stessi davanti all’imprevisto. Pensiamo a quando tendiamo a chiudere un occhio su elementi della nostra stessa famiglia d’origine, esprimenti esempi di vita alternativi (dipendenze varie, sofferenze psichiche, sé fragile, etc.) o portaparola di problemi transgenerazionali (ricordiamo, a tal proposito, i lavori dello psicologo francese R. Kaës e in particolare il libro Trasmissione della vita psichica tra generazioni, edito in Italia da Borla) e dei non detti insiti nei fantasmi familiari. Questi “zii” rappresentano per Noi tutti, adulti ma anche bambini, un rebus da risolvere, una sfida da superare, un filo da riconnettere attraverso le vicissitudini della nostra psiche: un compito da svolgere affinché le future generazioni non ne abbiano più a soffrire.
Ed allora, esaltiamo quello che abbiamo imparato dai nostri Zii (di sangue o putativi), quando ciò significa aver ricevuto un modo per comprendere meglio Noi stessi ed il nostro Sé. Risolviamo, invece, tutti insieme gli enigmi di quei modelli di sofferenza familiare che sono, troppo spesso, espressi da educatori e zii problematici: ne ricaveremo una società più giusta ed a misura della grandezza dei sentimenti umani… perché l’Altro è sempre portatore di Significato e di Senso…facciamo in modo che sia sempre un Senso Positivo per l’intera umanità.
Salvatore Rotondi