Sollevata la questione di legittimità costituzionale della norma del decreto-legge n. 18/2020 che impone al giudice civile di tenere l’udienza da remoto dall’ufficio giudiziario
di Alessandro Gargiulo
Il Tribunale di Mantova con l’ordinanza del 19 maggio 2020 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma del decreto-legge n. 18/2020 che impone al giudice civile (e solo a lui) di tenere l’udienza da remoto dall’ufficio giudiziario (Tribunale di Mantova, ordinanza 19.5.2020).

Per il Tribunale – ed è facile dargli torto – la norma che impone la presenza in ufficio per celebrare l’udienza non ha alcun senso perché impone soltanto al giudice civile di doversi recare in Tribunale per utilizzare Microsoft Teams quando questo potrebbe egualmente essere utilizzato con il collegamento da un luogo diverso e più sicuro rispetto all’ufficio giudiziario senza far correre al giudice il rischio di contagiare ed essere contagiato.
La norma contestata è rappresentata dall’art. 83, comma 7, lett. f) d.l. 18/2020 convertito nella l. n. 27/2020 così come modificato dall’art. 3 comma 1 lett. c), d.l. n. 28/2020 nella parte in cui ha imposto la presenza fisica del giudice civile in tribunale quando deve essere celebrata l’udienza da remoto: per il giudice mantovano, come vedremo, questa norma contrasta con gli artt. 3, 32, 77 e 97 Cost..
Secondo il Tribunale di Mantova la norma – udite udite – obbliga il giudice a recarsi presso l’ufficio giudiziario per potersi collegare alla propria stanza virtuale anche se tecnicamente potrebbe essere utilizzata a prescindere dal luogo fisico dal quale si trova collegato il giudice purché abbia a disposizione una connessione internet, una webcam ed un microfono che sono – osserva il giudice – incorporati nel personal computer Hp Elitebook in dotazione al giudice e fornito proprio dal Ministero della Giustizia per il lavoro anche da fuori ufficio.

Ebbene, secondo il Tribunale un primo profilo di illegittimità risiede nella constatazione che la norma contiene «un obbligo attualmente sancito esclusivamente per le udienze che deve celebrare il giudice civile non ritrovandosi analoga esplicita imposizione per qualsivoglia altro magistrato della giurisdizione (sia esso penale, amministrativo, contabile, tributario) così generando una evidente disparità di trattamento di situazioni simili. Neppure il Giudice Costituzionale ha ritenuto di imporsi la presenza fisica in ufficio per fare ricorso allo strumento telematico per trattare i procedimenti».
Peraltro, guarda caso, anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha avuto modo di osservare come sia «difficile individuare la ratio di tale scelta del legislatore, in mancanza di una sua illustrazione nella Relazione di accompagnamento, non risultando necessaria la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario per la celebrazione dell’udienza da remoto».
Inoltre, «non è dato sapere quale garanzia offra al processo la presenza del Giudice in ufficio se poi egli si deve collegare ad un luogo virtuale quale è quello della stanza virtuale messa a disposizione da DGSIA e nessuna delle altre parti processuali possa accedere ai locali del Tribunale».
Ancora: «se il mezzo tecnologico è idoneo per celebrare la Camera di consiglio, non è oggettivamente comprensibile perché non lo possa essere per celebrare l’udienza, peraltro solo quella civile perché la limitazione vale solo per le udienze civili, considerato che lo strumento tecnico è il medesimo sia per le udienze che per le camere di consiglio».
Infine, la norma appare anche contrastare con l’esigenza di favorire quanto più possibile il lavoro agile fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica salvo che la presenza del personale negli uffici solo per assicurare esclusivamente le attività indifferibili che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro.
Ma nel caso del giudice civile questo opera quotidianamente con la Consolle del Magistrato per la gestione del proprio ruolo e per la celebrazione delle udienze visto che anche per i procuratori delle parti precedentemente costituite è obbligatorio il deposito di atti e documenti solo a mezzo PCT e che l’art. 83, comma 11, d.l. n. 18/2020, fino al 31 luglio 2020, impone l’obbligo del deposito telematico a mezzo PCT anche per gli atti introduttivi.
Infine, il giudice è consapevole che, essendo la norma “a tempo” (e, cioè, valida sino al 31 luglio 2020) la sentenza della Corte Costituzionale potrebbe arrivare quando la norma non sarà più vigente. Tuttavia, proprio a tal proposito, il Tribunale, per così dire, “suggerisce” alla Corte di trattare addirittura la questione in via d’urgenza: «nulla impedirebbe alla Corte Costituzionale ritenutane l’urgenza di trattare la questione in data anteriore al 31 luglio 2020 poiché gli artt. 25 e 26 della l. 87 del 11 marzo 1953 consentirebbero di adottare una decisione in poco più di quaranta giorni».
Alessandro Gargiulo