Il TAR Emilia-Romagna con ordinanza del 1° giugno 2020 ha sollevato l’ennesima pregiudiziale volta a dichiarare l’incompatibilità della l. n. 341/91 e del d.lgs. n. 92/16, che disciplinano la magistratura onoraria, col diritto comunitario relativamente al mancato riconoscimento di una tutela assistenziale e previdenziale a questa categoria ed alle modalità di rinnovo dell’incarico e stante la possibile discriminazione tra giudici onorari e togati (TAR Emilia Romagna, sez. I, ordinanza n. 363/2020, depositata il 1° giugno 2020).

La ricorrente è una Giudice di pace che ha svolto le sue funzioni ininterrottamente dal 3/7/02 al 21/5/16 ed era stata nuovamente riconfermata ex d.lgs. n. 92/16.
Chiede, perciò, il riconoscimento del diritto «alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo pieno o part-time con il Ministero della Giustizia in ragione della parità sostanziale di funzioni con i magistrati c.d. togati o, in subordine, comunque al conseguimento dello status di pubblico dipendente a tempo pieno o part-time, con la conseguente condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate, oltre oneri previdenziali e assistenziali». Infine, chiede che la Presidenza del Consiglio dei Ministri le riconosca un congruo indennizzo per l’asserito uso abusivo dei contratti a tempo determinato e per l’assenza di previdenza sociale.
Il magistrato onorario è un lavoratore?
Il fulcro della questione è nella definizione onorario, tant’è che la prassi nazionale (Cass. SS.UU 11272/98, sez. lav. 99/18 e ord. SS.UU. 21582/11) facendo leva sul carattere volontario del rapporto di servizio, lo definisce semiprofessionale ed «è costante nell’escludere l’inquadrabilità della figura del giudice di pace nel rapporto di pubblico impiego, oltre che nella stessa parasubordinazione di cui all’art. 409 c.p.c. n. 3». Tale rapporto è caratterizzato dalla «attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l’impiego pubblico» (al contrario dei magistrati togati quelli onorari non partecipano ad alcun concorso pubblico per essere immessi in ruolo, non percepiscono una vera e propria retribuzione e non sono perciò inquadrati nel pubblico impiego), seppure siano, tuttavia, soggetti agli stessi doveri e vincoli dei magistrati togati. Non hanno però, per la peculiarità del loro inquadramento, i loro stessi diritti non essendo riconosciuta loro alcun tipo di assistenza e previdenza sociale (pensione, malattia, maternità/paternità, tutela della salute etc.) ed anche le modalità di retribuzione sono profondamente differenti, non contando su un vero stipendio, ma su indennità tassativamente fissate dalla legge. Si evidenzi che recenti riforme del settore non hanno eliminato queste criticità, ma forse le hanno acuite: la l. n. 57/16 ha stabilito che entro un anno dall’entrata in vigore sarebbero dovuti essere emessi due decreti legislativi per regolare la tutela sociale e previdenziale dei magistrati onorari. Il d.lgs. n. 116/17 ha modificato lo status di giudice onorario: i compensi percepiti non sono più assimilabili a quelli da lavoro dipendente, ma da lavoro autonomo, l’incarico della durata di 4 anni può essere confermato per altre due volte (4+4) e l’estensione della tutela previdenziale (l’assicurazione diventa obbligatoria) è riconosciuta solo per i giudici iscritti alla gestione separata dell’Inps, ma non anche a chi è iscritto alla Cassa previdenziale forense etc. (Circolare INPS n.128/19).
Prassi internazionale
La CGUE e il Comitato per i diritti sociali (organo del COE che si occupa dell’attuazione dalla Carta sociale europea, una sorta di statuto internazionale dei lavoratori) sono di diverso avviso tanto da aver ravvisato in questa disparità di trattamento una discriminazione dei magistrati onorari. Il Comitato con la decisione del 5/7/16 (pubblicata il 16/11/16) sul caso n.103/2012, risolvendo un’analoga questione sollevata dall’Associazione nazionale dei Giudici di Pace, ha evidenziato come questa categoria e gli altri giudici onorari svolgano le loro funzioni in modo stabile, continuo ed esclusivo e che gli argomenti adotti dall’Italia per giustificare il riconoscimento dei diritti dei giudici togati (e non anche di questa categoria) siano attinenti alle modalità di organizzazione del lavoro «e non costituiscano una giustificazione obiettiva e ragionevole del trattamento differenziato delle persone la cui equivalenza funzionale è stata riconosciuta». Per la CGUE ai sensi dell’art. 7 direttiva 2003/88/CE (organizzazione dell’orario del lavoro) un giudice di pace è da considerare un lavoratore qualora «svolga funzioni giurisdizionali in misura significativa, non possa decidere autonomamente quali cause trattare e sia soggetta agli obblighi disciplinari dei magistrati professionali»: deve avere, perciò, gli stessi diritti dei colleghi togati, in primis quello alle ferie, anche se potrebbe essere giusto, data la minore rilevanza delle cause trattate, che abbia una diversa retribuzione (EU:C:2020:33, C-658/18 nel quotidiano del 24/1/20: uno dei due casi ancora pendenti su queste stesse tematiche).
Sempre per la CGUE (EU:C:2012:110, 2015:455 e 2018:166) per lavoratore deve intendersi «ogni persona che esegue a favore di un’altra e sotto la direzione di questa prestazioni in contropartita delle quali percepisce una remunerazione, ad esclusione del caso in cui tali prestazioni non costituiscano un’attività reale ed effettiva ovvero siano talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie». La stessa, nell’affrontare anche il problema della successione abusiva di contratti a termine, chiarisce che il fatto che il rapporto sia onorario è irrilevante ai fini di questa definizione poiché ciò che contano sono i diritti ed i doveri degli interessati: «i giudici possono essere considerati lavoratori ai sensi della clausola 2 punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, dal momento che la sola circostanza che i giudici siano qualificati come titolari di una carica giudiziaria non è sufficiente di per sé a sottrarre questi ultimi dal beneficio dei diritti previsti dall’accordo quadro. (…) La mera qualificazione legislativa di un rapporto di pubblico servizio come rapporto onorario non appare da sola ad escludere né la sussistenza, di fatto e diritto, di un rapporto di lavoro subordinato, né ingiustificate discriminazioni a danno dei lavoratori pubblici a tempo parziale e/o determinato in assenza della determinazione di criteri oggettivi e trasparenti sottesi ad un’esigenza reale di discriminazione, stante l’assenza nella legge 374/1991 istitutiva del giudice di pace (e nella normativa secondaria attuativa) di elementi precisi e concreti che contraddistinguano il rapporto di impiego del giudice di pace, anche nel particolare contesto in cui s’inscrive, e la correlata assenza di idoneità e di necessità della normativa discriminatoria richiamata (vedasi in particolare punti 4-5-6-7) a conseguire un obiettivo che sia diverso da quello di sfruttare in modo intensivo, continuativo ed a tempo pieno una forza lavoro, a costi esigui, senza approntare alcuna garanzia o tutela a fini previdenziali ed assistenziali, nè garantire la continuità del servizio, ma sopperendo ad essa con indebite, ingiustificate reiterazioni di rapporti di lavoro a tempo determinato».
La CGUE fuga, infine, ogni dubbio sul fatto che il magistrato onorario, anche se considerato un autonomo, rientri nella nozione di lavoratore ex art. 157 TFUE: «la qualificazione formale di lavoratore autonomo ai sensi del diritto nazionale non esclude che una persona debba essere qualificata come lavoratore ai sensi del citato articolo se la sua indipendenza è solamente fittizia».
Abuso di contratti a termine
Il giudice di rinvio solleva dubbi anche sui rinnovi degli incarichi e sull’assenza di un vero e proprio inquadramento di questa categoria comportante suddetta carenza di tutele.
È irrilevante anche il regime retributivo di questo incarico onorario e che il GDP non abbia superato un concorso per accedere alla carriera giudiziaria (per altro quello onorario non ha diritto nemmeno ad una carriera) ben potendosi invocare le tutele ex art. 2126 c.c. Ad avviso del giudice di rinvio questo meccanismo di rinnovi comporta una sorta di “stabilizzazione” del rapporto onorario: nella fattispecie la ricorrente aveva svolto tali mansioni per una significativa parte della sua vita lavorativa (15 anni circa), sì che «è anche difficile negare (come pur autorevolmente opina la Corte di Cassazione) l’inserimento del giudice di pace nell’apparato organizzativo dell’Amministrazione della Giustizia».
Non ci sono, perciò, ragioni obiettive atte a giustificare questo differente trattamento con i togati: entrambi svolgono le medesime funzioni e sono soggetti agli stessi doveri. Inoltre, questo meccanismo di rinnovi, in assenza di sanzioni dissuasive ed effettive, minerebbe l’autonomia e l’indipendenza dei giudici in netto contrasto con gli artt. 47 Carta di Nizza, 6 Cedu e 101-110 Cost.
Tali tematiche sono state riprese recentemente dalla Cass. lav. 4882/20 e trovano fondamento nella Raccomandazione del Consiglio dei Ministri del COE n. 12 del 17/11/10 e nel relativo memorandum esplicativo.
La Consulta poi ha chiarito che l’indipendenza del giudice si realizza tramite le garanzie di un congruo trattamento economico (C.Cost. 238/90 ed ordd. 346 e 137/08).
Il giudice di rinvio ha perciò sollevato due pregiudiziali volte a capire se la mancata previsione di tutele assistenziali e previdenziali sopra descritte rendano la nostra normativa di riferimento incompatibile con gli artt. 20, 21, 31, 33 e 34 della Carta di Nizza, con le direttive n. 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato (clausole 2 e 4), n. 1997/81/CE sul lavoro a tempo parziale (clausola 4) n. 2003/88/CE sull’orario di lavoro (art. 7), n. 2000/78/CE (art. 1, 2 comma 2 lett. a) e se le modalità di rinnovo del contratto deroghino al divieto imposto dall’art.5 Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
Alessandro Gargiulo