di Elena Varriale
Il poeta Ralph Waldo Emerson ha scritto: “È una regola delle buone maniere quella di evitare le esagerazioni.” Un conto è quindi l’enfasi della difesa, dell’arringa o del discorso, altra cosa è invece il trascendere, l’offendere o il romanzare.

Esagerare infatti è sinonimo di amplificare, d’ingigantire, di superare i limiti. Di andare oltre. E non è un caso, se la diretta del presidente De Luca su Salvini abbia suscitato molte perplessità per i suoi insulti ripetuti e plateali al leader dell’opposizione.
Ma prima di giudicare o stigmatizzare, occorre capire perché il cabaret Crozza-De Luca stia diventato così popolare. Si tratta di considerare l’evoluzione o involuzione, a seconda dei punti di vista, della comunicazione politica del nostro Paese, dagli anni novanta fino ad oggi. In sostanza, di capire come il teatro e la commedia dell’arte abbiano influenzato sempre di più, la spettacolarizzazione della politica. Come, in sostanza, sia diventata obsoleta e “soporifera” la comunicazione del politicamente corretto, tipica della I Repubblica.
Non c’è dubbio, che il primo vero dissacratore della comunicazione corretta sia stato il venditore Berlusconi che bucava il video con le sue promesse, le sue donnine e le barzellette. Aveva innata, la capacità di trasgredire qualunque etichetta, formula o convenienza, tanto da aggiudicarsi il titolo di uomo politico più rock’n roll.

Dopo, c’è stata solo una breve parentesi in cui il giovane ed inesperto Renzi proponeva sogni, sfide perdenti e moderne slide, seguita da quella veloce sui social di Salvini che dietro ogni selfie sembra ripetere: eccomi, sono uno di voi!

Nel frattempo, però, Grillo con i suoi vaffa profusi nei social e nelle piazze, ha realizzato una svolta significativa, epocale nella comunicazione politica: il vilipendio ironico e rabbioso al potere.
E arriviamo così, al cabaret politico Crozza-De Luca che è figlio di Grillo, ma nello stesso tempo ha una sua originalità o peculiarità. L’alter ego Crozza, infatti, impone a De Luca di superare sé stesso e così se si analizzano le parole dette dal Presidente a Salvini: “sciacallo, cafone, tre volte somaro”, appare evidente come abbiano in sé il ritmo e la forza comunicativa di un verso rap. Sono orecchiabili, facili da ricordare. Suscitano ilarità e rabbia. Sono liberatorie, sono popolari. Arrivano a tutti.
Siamo nell’era online, dei social, della logica binaria. Aggredire l’avversario è diventato un target comunicativo, molto visualizzato e molto condiviso. I vizi si fanno virtù e l’offesa uno status permanente del linguaggio e della comunicazione.
Naturalmente, a noi cittadini delle “buone maniere” resta solo la possibilità di osservare e restare in attesa di un leader che, dopo l’ubriacatura del politically incorrect, riesca a rendere popolare e comunicativo il rispetto.
Elena Varriale