La Consulta definisce il corretto equilibrio tra manifestazione del pensiero e tutela della reputazione


Non può considerarsi come fisso ed immutabile, «essendo soggetto a necessari assestamenti, tanto più alla luce della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli ultimi decenni», il bilanciamento tra la libertà di manifestare il proprio pensiero e la tutela della reputazione (Corte Costituzionale, sentenza n. 132/2020, depositata il 26 giugno 2020).

Lo afferma la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 132/20 ove si rinvia all’udienza del 22 giugno 2021 la decisione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate da due Tribunali, rispettivamente quello di Salerno e quello di Bari, sulla legittimità della pena detentiva prevista dalla legge in caso di diffamazione a mezzo stampa, così da consentire al legislatore di approvare una nuova disciplina al riguardo.

Si richiede al legislatore di indicare un nuovo bilanciamento che dovrà unire le esigenze di garanzia della libertà giornalistica con le ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale della vittima di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti. Si tratta di vittime – si legge nell’ordinanza della Consulta – che «sono oggi esposte, dal canto loro, a rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito, agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca in internet».
E un simile compito non può che spettare al legislatore, l’unico soggetto idoneo ad individuare un sistema equilibrato di tutela di tutti i diritti in gioco, il quale preveda non solo il ricorso a sanzioni penali non detentive (sempre nei limiti della proporzionalità rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del reato) ovvero a rimedi civilistici, riparatori adeguati, ma anche «a efficaci misure di carattere disciplinare, rispondendo allo stesso interesse degli ordini giornalistici pretendere, da parte dei propri membri, il rigoroso rispetto degli standard etici che ne garantiscono l’autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori del sistema democratico».
Così facendo, il legislatore potrà applicare la pena detentiva per quelle condotte che assumano connotati di eccezionale gravità oggettiva e soggettiva – tenendo conto del contesto nazionale – tra cui si inseriscono quelle in cui la diffamazione implichi istigazione alla violenza.

Alessandro Gargiulo

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