di Salvatore Rotondi

“Gli amanti, quelli veri, non condividono un letto ma custodiscono un segreto...”
— Pablo Neruda
L’Amante
Ai nostri giorni, epoca che ha fatto della poesia un semplice passa-tempo, il termine Amante ha oramai preso, attraverso il senso comune, una accezione tendenzialmente negativa. Sta, cioè, ad indicare colui o colei con il quale o la quale si tradisce la coppia costituita e socialmente riconosciuta. Insomma, essere o fare gli amanti significa ad oggi vivere in clandestinità una relazione o un rapporto fugace, a causa del venir meno di un impegno assunto dal proprio partner precedentemente.

Una volta, invece, al tempo in cui la poesia era una cosa seria ed era considerata una forma espressiva dell’animo umano, essere amanti stava ad indicare una relazione profonda che andava al di là della propria esistenza corporea. Amanti significava stare in una relazione d’amore con un’altra persona, al di là di tutto e tutti.
Ah, quante coppie sono tali, socialmente parlando, ma hanno perso (o non hanno mai avuto) la propria anima Amante.
Addirittura una volta si poteva essere amanti alla luce del sole e con il massimo rispetto dell’altro. Ricordiamo, ad esempio, tra la fine del 1600 e per tutto il 1700 il valore che possedevano i corteggiatori/cavalier serventi (detti anche cicisbei) delle nobildonne. Tali individui stavano ad indicare la grandiosità della dama e la fortuna del suo compagno a poterle essere vicino. In un certo senso, l’epoca dei lumi cercava di recuperare il senso classico della donna angelicata di secoli passati, ingabbiando nuovamente la stessa in una prigione dorata e negandole la sessualità che le è propria. Paradossalmente, nella stessa epoca, nascono i grandi romanzi e la poesia erotica francese. Un caso? Non direi.

Ai nostri tempi, invece, tutto diviene legittimo e, proprio per questo, paradossalmente tutto perde il proprio valore umano e poetico. Le relazioni di coppia sono diventate qualcosa di cui liberarsi per dare spazio alla solitaria realtà dell’individualismo pieno della paura di amare e soffrire per il proprio amore. La coppia è gabbia per le aspirazioni predatorie individuali e, allo stesso tempo, è vuoto simbolo di qualcosa che ha smarrito la propria anima d’amante, ricercata così e legittimata nell’Ombra archetipica di sé stessa: le relazionalità altre. Abbiamo così, ad esempio, il termine colto di amantismo, ovvero la condizione di essere amante, di vivere da amante. Qui vediamo come il termine amante sembra aver acquisito la legittimità di ruolo sociale, perdendo il suo valore relazionale e di connotazione emotiva di una dinamica tra due persone. Da questo termine, poi, il concetto di “amantità”, un neologismo (dall’inglese «mistressdom») coniato da Elizabeth Abbott (2006), che vuole indicare i modi, diversi dal matrimonio, con cui le donne si mettono in rapporto con gli uomini.
La difficoltà emotiva di recuperare l’anima amante
Tra i ragazzi (e gli eterni adolescenti), invece, la difficoltà emotiva di recuperare l’anima amante delle relazioni (con la relativa paura di impegnarsi socialmente in una coppia e, conseguentemente, perdere la sostanza di una relazione) si manifesta, poi, in due forme abbastanza particolari: la friendzone e la scopaamicizia.

Con friendzone indichiamo una relazione affettiva asimmetrica, caratterizzata dal fatto che uno dei due soggetti prova attrazione e desiderio per l’altro ma, una volta dichiarato il proprio sentimento, viene invitato da quest’ultimo, in modo esplicito o implicito, all’interno di un rapporto d’amicizia minato, però, dalla stessa dichiarazione d’amore fatta. Insomma, una vera e propria gabbia dei sentimenti disillusi. Per non perdere definitivamente sogno e relazione, il “frienzonato” accetta a malincuore la sua nuova posizione di pseudo-amico. Perché accade questo? Personalmente ritengo tale situazione figlia di quanto detto sopra, relativamente alla dimensione della relazionalità di coppia (ed anche l’amicizia rientra in tale modalità di interazione), ma anche conseguenza della mancanza di separazione netta nel rapporto genitori-figli, in cui i primi cercano perennemente un controllo emotivo sui secondi non più attraverso l’istituzione di regole da accogliere o contrastare ma attraverso al seduzione sentimentale o la punizione affettiva; le formule sono le solite “se non fai così, non ti voglio più bene”; ma ad oggi tali formule sono rinforzate dalla vicinanza fisica (teneri abbracci o rifiuti degli stessi se il bambino/a non corrisponde ai desideri genitoriali) o da premialità varie, perlopiù caratterizzate da sempre più gradi di libertà e decisionalità sulle regole stesse della relazione.
Il limbo della friendzone inizia, poi, a diventare un luogo sempre più stretto e scomodo, finché l’idea di uscirne si trasforma così in una necessità impellente che poi determina la fine definitiva della relazionalità amicale. Da qui, la paura per molti ragazzi e ragazzi di vivere la propria affettività e la frustrazione della mancanza di corrispondenza dei propri desideri e/o la desensibilizzazione del valore di alcuni termini; ad esempio questo accade molto spesso con l’utilizzo generalizzato del nomignolo “Amore” e sue contrazioni tra amici o, addirittura, tra conoscenti per sottolineare l’importanza di una affermazione o di una azione, anch’essa priva di significato profondo e di valore emotivo concreto. La paura regna così sovrana.

Per quanto concerne, invece, la scopaamicizia, con tale termine si suole indicare quelle relazioni tra individui che intrattengono rapporti sessuali con alcuni dei loro amici. La persona che vive tali rapporti è quindi detto trombamico, neologismo creato da Fabio Volo nei suoi primi romanzi di inizio 2000 e che sta ad indicare un soggetto che rifugge qualsiasi implicazione sentimentale e legami socialmente impegnativi per focalizzarsi, esclusivamente, nell’appagamento della esigenza sessuale propria e altrui.
La scopaamicizia possiamo pertanto intenderla come una delle ultime forme dell’umano tentativo di controllare e determinare la forza dell’Eros; quella forza ancestrale, cioè, che lega gli individui umani in tutte le loro relazioni, sociali e non. Cercare di coinvolgerla nell’amicizia è così un altro modo di domare tale forza (attraverso una forma di reciproca masturbazione in due), equivalente alle regole moralistiche o religiose che, nel corso dei secoli, hanno cercato di incatenare le nostre pulsioni a forme codificate e rassicuranti di relazionalità, capaci di essere al servizio della società umana, nonostante sembrano in contrasto con la sua stessa identità tradizionale.
La paura di perdersi nell’Altro
Insomma, un altro sistema di controllo della nostra naturale tendenza ad amare l’Altro da noi stessi per poterlo così comprendere fino in fondo.
Ma bisogna stare attenti: la potenza della sessualità può coinvolgerci e poi farci perdere la nostra individualità nel crogiuolo del suo fuoco passionale.

La soluzione sembra quindi essere stata trovata in definizioni, nomi e forme varie per i rapporti sessuali e non, tali da poter difendere l’individuo da tale paura di perdersi nell’Altro.
Ma la capacità e la destrezza, per non dire la natura stessa dell’umano, resta radicata proprio nella sua capacità di fondersi senza confondersi con l’Altro, di ascoltare la melodia eufonica del sublime senza, per questo, cercare di dominarla o di esserne dominato. Perché la comprensione delle situazioni è sempre una arma a doppio taglio: ti protegge dal rischio ma non ti permette di immergerti totalmente in quella Verità che tutti noi cerchiamo: non siamo mai veramente da Soli.
D’altronde, come nell’umano rischio dell’Amare “amantemente” (nuovo neologismo?), per fare una frittata bisogna pur sempre coerentemente rompere un uovo (cosmico)…a volte, anche più di uno se ci si vuole veramente saziare!
Salvatore Rotondi